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Pap Test

Il test prende il nome dal suo inventore il medico greco Georgios Papanicolau che trasferitosi negli USA nel 1928 propose un metodo di diagnosi del tumore del collo dell’utero mediante analisi microscopica delle cellule di desquamazione prelevate in vagina. Solo 15 anni più tardi questa metodica di analisi fu presa in considerazione divenendo un presidio indispensabile nella prevenzione del tumore invasivo del collo dell’utero.

L’esame consiste nel prelievo, mediante una spatola e uno scovolino, delle cellule che rivestono il collo dell’utero e il canale cervicale. Le cellule vengono successivamente strisciate su di un vetrino da microscopia, fissate e successivamente colorate e analizzate al microscopio.

Vengono così valutate le caratteristiche delle strutture cellulari che risulteranno normali o alterate per processi infiammatori (condizione molto frequente e poco rilevante) o da vari gradi di anomalie che lasciate al loro decorso naturale potrebbero portare, generalmente in anni, ad un tumore invasivo del collo dell’utero.

In questo secondo caso sarà opportuno procedere alla ripetizione dell’esame e, in caso di conferma della alterazione, ad accertamenti di approfondimento e a cure specifiche (solitamente ambulatoriali) con il fine di eliminare le cellule alterate e di portare ad una probabilità molto bassa la possibilità che si sviluppi un tumore invasivo.

Dal momento che normalmente lo sviluppo di un tumore invasivo del collo dell’utero richiede molti anni, dopo un Pap test con risultato normale sarà sufficiente ripetere l’esame ogni 18-24 mesi per far fronte anche ai risultati falsamente negativi.

Il Pap test ha un’alta specificità nella prevenzione dei tumori del collo dell’utero ma certamente non può essere ritenuto un test parimenti valido nella prevenzione di altri tumori dell’apparato genitale (utero, ovaie) per i quali occorrerà far riferimento ad altre metodologie di screening.

Recentemente è stata introdotta una nuova modalità di trattamento delle cellule cervicali che, anziché essere strisciate direttamente sul vetrino, vengono poste in un terreno di trasporto liquido. In questo modo le cellule possono essere estratte in laboratorio e stese sul vetrino in uno strato molto sottile con un notevole incremento del potenziale di valutazione.

Cellule colorate con ematossilina/eosina secondo Papanicolau

L’HPV (Human Papova Virus) è l’agente causale più frequentemente, ma non unicamente, coinvolto nella degenerazione maligna delle cellule del collo dell’utero. È molto importante poter riconoscere la presenza delle varianti ad alto rischio del virus in presenza di anomalie della struttura cellulare. Il Pap test in fase liquida consente di conservare il materiale ottimale nel caso si vogliano effettuare approfondimenti virologici.

È consigliabile che nelle pazienti di età superiore ai 35 anni venga effettuato di routine il test per l’HPV contestualmente al Pap Test con ripetizione triennale.

Negli ultimi anni le problematiche derivanti dalle infezioni da HPV sono state affrontate con decisione grazie all’introduzione di un percorso vaccinale con il fine di arrivare a far scomparire non solo i tumori del collo dell’utero ma anche quelli in sede extra genitale (mucosa anale, cavo orale) imputabili al virus.

Attualmente il programma vaccinale pubblico è destinato alle fanciulle in età prepuberale (ovvero prima che possano aver contratto l’infezione) ma è auspicabile che tale pratica preventiva possa essere estesa anche ai coetanei di sesso maschile.

Sembra comunque che la vaccinazione possa accelerare il naturale processo di eliminazione del virus dall’organismo anche in persone che ne abbiano contratta l’infezione.

Spesso capita che il citologo che ha analizzato il vetrino di un Pap test segnali nel referto la presenza di germi comuni (batteri, miceti, protozoi).

In realtà queste segnalazioni hanno solo valore indicativo in quanto la corretta diagnosi di vaginite e la conseguente prescrizione di una terapia dovrebbero far seguito ad un esame a fresco delle secrezioni vaginali, con il riconoscimento degli elementi patologici,  in una paziente che lamenti disturbi irritativi a carico dei genitali.

Il test prende il nome dal suo inventore il medico greco Georgios Papanicolau che trasferitosi negli USA nel 1928 propose un metodo di diagnosi del tumore del collo dell’utero mediante analisi microscopica delle cellule di desquamazione prelevate in vagina. Solo 15 anni più tardi questa metodica di analisi fu presa in considerazione divenendo un presidio indispensabile nella prevenzione del tumore invasivo del collo dell’utero.

L’esame consiste nel prelievo, mediante una spatola e uno scovolino, delle cellule che rivestono il collo dell’utero e il canale cervicale. Le cellule vengono successivamente strisciate su di un vetrino da microscopia, fissate e successivamente colorate e analizzate al microscopio.

Vengono così valutate le caratteristiche delle strutture cellulari che risulteranno normali o alterate per processi infiammatori (condizione molto frequente e poco rilevante) o da vari gradi di anomalie che lasciate al loro decorso naturale potrebbero portare, generalmente in anni, ad un tumore invasivo del collo dell’utero.

In questo secondo caso sarà opportuno procedere alla ripetizione dell’esame e, in caso di conferma della alterazione, ad accertamenti di approfondimento e a cure specifiche (solitamente ambulatoriali) con il fine di eliminare le cellule alterate e di portare ad una probabilità molto bassa la possibilità che si sviluppi un tumore invasivo.

Dal momento che normalmente lo sviluppo di un tumore invasivo del collo dell’utero richiede molti anni, dopo un Pap test con risultato normale sarà sufficiente ripetere l’esame ogni 18-24 mesi per far fronte anche ai risultati falsamente negativi.

Il Pap test ha un’alta specificità nella prevenzione dei tumori del collo dell’utero ma certamente non può essere ritenuto un test parimenti valido nella prevenzione di altri tumori dell’apparato genitale (utero, ovaie) per i quali occorrerà far riferimento ad altre metodologie di screening.

Recentemente è stata introdotta una nuova modalità di trattamento delle cellule cervicali che, anziché essere strisciate direttamente sul vetrino, vengono poste in un terreno di trasporto liquido. In questo modo le cellule possono essere estratte in laboratorio e stese sul vetrino in uno strato molto sottile con un notevole incremento del potenziale di valutazione.

Cellule colorate con ematossilina/eosina secondo Papanicolau

L’HPV (Human Papova Virus) è l’agente causale più frequentemente, ma non unicamente, coinvolto nella degenerazione maligna delle cellule del collo dell’utero. È molto importante poter riconoscere la presenza delle varianti ad alto rischio del virus in presenza di anomalie della struttura cellulare. Il Pap test in fase liquida consente di conservare il materiale ottimale nel caso si vogliano effettuare approfondimenti virologici.

È consigliabile che nelle pazienti di età superiore ai 35 anni venga effettuato di routine il test per l’HPV contestualmente al Pap Test con ripetizione triennale.

Negli ultimi anni le problematiche derivanti dalle infezioni da HPV sono state affrontate con decisione grazie all’introduzione di un percorso vaccinale con il fine di arrivare a far scomparire non solo i tumori del collo dell’utero ma anche quelli in sede extra genitale (mucosa anale, cavo orale) imputabili al virus.

Attualmente il programma vaccinale pubblico è destinato alle fanciulle in età prepuberale (ovvero prima che possano aver contratto l’infezione) ma è auspicabile che tale pratica preventiva possa essere estesa anche ai coetanei di sesso maschile.

Sembra comunque che la vaccinazione possa accelerare il naturale processo di eliminazione del virus dall’organismo anche in persone che ne abbiano contratta l’infezione.

Spesso capita che il citologo che ha analizzato il vetrino di un Pap test segnali nel referto la presenza di germi comuni (batteri, miceti, protozoi).

In realtà queste segnalazioni hanno solo valore indicativo in quanto la corretta diagnosi di vaginite e la conseguente prescrizione di una terapia dovrebbero far seguito ad un esame a fresco delle secrezioni vaginali, con il riconoscimento degli elementi patologici,  in una paziente che lamenti disturbi irritativi a carico dei genitali.

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