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Cos'è importante fare
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Attività lavorativa
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Vita di relazione e gravidanza
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Cos'è importante fare
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Attività lavorativa
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Vita di relazione e gravidanza
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Monitoraggio clinico
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Screening primo trimestre
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Difetti congeniti fetali e diagnosi prenatale
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Prelievo di villi coriali VS amniocentesi
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Test prenatali non invasivi
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Monitoraggio clinico
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Screening primo trimestre
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Difetti congeniti fetali e diagnosi prenatale
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Prelievo di villi coriali VS amniocentesi
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Test prenatali non invasivi
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Come orientarsi nella prevenzione dei difetti congeniti neonatali
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Come orientarsi nella prevenzione dei difetti congeniti neonatali

COSA È IMPORTANTE FARE PRIMA DI UNA GRAVIDANZA

Prima di iniziare la ricerca di una gravidanza è utile:

  • Sottoporsi ad una visita ginecologica ed effettuare un Pap test;
  • Eseguire accertamenti ematochimici per verificare il proprio gruppo sanguigno, l’emocromocitometrico, la funzionalità del fegato e dei reni, ma soprattutto lo stato di protezione nei confronti di malattie infettive che potrebbero causare seri problemi se contratte per la prima volta in corso di gravidanza (Rosolia, Toxoplasmosi, Citomegalovirus, Varicella).

In caso di mancanza di protezione nei confronti del virus della Rosolia o di quello della Varicella è consigliabile sottoporsi a vaccinazione e rimandare di alcuni mesi la ricerca della gravidanza;

  • Fare delle ricerche per verificare che nella propria famiglia o in quella del partner non si siano verificati casi di malattie che possano essere considerate ereditarie (malformazioni, deficit psico-intellettivi, alterazioni croniche di funzioni dell’organismo quali anemie, alterazioni della coagulazione, deficit respiratori, distrofie muscolari).

In caso affermativo, sotto la guida di un medico, occorrerà raccogliere tutta la documentazione possibile e in alcuni casi sarà necessario sottoporsi ad accertamenti e a consulenza genetica prima della gravidanza;

  • Evitare di esporsi a possibili fonti di malattie infettive e a sostanze tossiche;
  • 400 mcg di Acido Folico per un periodo di almeno 3 mesi.

l’Acido Folico è una vitamina presente soprattutto nelle foglie delle verdure e la sua integrazione nella dieta prima della gravidanza consente di ridurre notevolmente il rischio di alcune malformazioni (spina bifida, labbro leporino e alcune malformazioni cardiache).

  • Fare sempre riferimento al buon senso evitando ad esempio di perseverare con programmazioni stabilite prima del riscontro della gravidanza.
    Rinunciare ad esempio a viaggi disagevoli o ad impegni eccessivamente faticosi e stressanti.

Prima di iniziare la ricerca di una gravidanza è utile:

  • Sottoporsi ad una visita ginecologica ed effettuare un Pap test;
  • Eseguire accertamenti ematochimici per verificare il proprio gruppo sanguigno, l’emocromocitometrico, la funzionalità del fegato e dei reni, ma soprattutto lo stato di protezione nei confronti di malattie infettive che potrebbero causare seri problemi se contratte per la prima volta in corso di gravidanza (Rosolia, Toxoplasmosi, Citomegalovirus, Varicella).

In caso di mancanza di protezione nei confronti del virus della Rosolia o di quello della Varicella è consigliabile sottoporsi a vaccinazione e rimandare di alcuni mesi la ricerca della gravidanza;

  • Fare delle ricerche per verificare che nella propria famiglia o in quella del partner non si siano verificati casi di malattie che possano essere considerate ereditarie (malformazioni, deficit psico-intellettivi, alterazioni croniche di funzioni dell’organismo quali anemie, alterazioni della coagulazione, deficit respiratori, distrofie muscolari).

In caso affermativo, sotto la guida di un medico, occorrerà raccogliere tutta la documentazione possibile e in alcuni casi sarà necessario sottoporsi ad accertamenti e a consulenza genetica prima della gravidanza;

  • Evitare di esporsi a possibili fonti di malattie infettive e a sostanze tossiche;
  • 400 mcg di Acido Folico per un periodo di almeno 3 mesi.

l’Acido Folico è una vitamina presente soprattutto nelle foglie delle verdure e la sua integrazione nella dieta prima della gravidanza consente di ridurre notevolmente il rischio di alcune malformazioni (spina bifida, labbro leporino e alcune malformazioni cardiache).

  • Fare sempre riferimento al buon senso evitando ad esempio di perseverare con programmazioni stabilite prima del riscontro della gravidanza.
    Rinunciare ad esempio a viaggi disagevoli o ad impegni eccessivamente faticosi e stressanti.

LA GRAVIDANZA

Va innanzitutto sottolineato che la gravidanza non deve essere considerata alla stregua di una “malattia” bensì “un momento particolare” nella vita di una donna, e della sua famiglia, e di conseguenza, in condizioni normali, la modalità più corretta per poterla affrontare è quella di far sempre riferimento al “buon senso” più che a categoriche limitazioni o imposizioni.

 

La gravidanza dura in media 280 giorni, ovvero 40 settimane, calcolati dal primo giorno dell’ultima mestruazione. Essa però non inizia durante il flusso mestruale bensì al momento dell’ovulazione, che in condizioni normali avviene 14 giorni dopo l’inizio della mestruazione.
L’età effettiva del feto sarà quindi sempre di 14 giorni inferiore rispetto a quella calcolata per convenzione.

In caso di cicli mestruali o di ovulazioni irregolari questi calcoli possono risultare inesatti, pertanto si farà riferimento alla ridatazione ecografica e, sulla base delle informazioni ottenute, risulterà possibile riprogrammare i tempi corretti per il monitoraggio della gravidanza e per l’attesa del parto.

Qualora la durata della gravidanza superi le 40 settimane, confermate dalla datazione ecografica, si rende necessario un monitoraggio intensivo del benessere fetale e, generalmente, se viene superata anche la 41a settimana si preferisce indurre farmacologicamente il travaglio di parto.

Una formula semplice per calcolare la data media ipotetica del parto consiste nell’aggiungere 7 giorni e togliere 3 mesi alla data di inizio dell’ultima mestruazione.

Va innanzitutto sottolineato che la gravidanza non deve essere considerata alla stregua di una “malattia” bensì “un momento particolare” nella vita di una donna, e della sua famiglia, e di conseguenza, in condizioni normali, la modalità più corretta per poterla affrontare è quella di far sempre riferimento al “buon senso” più che a categoriche limitazioni o imposizioni.

 

La gravidanza dura in media 280 giorni, ovvero 40 settimane, calcolati dal primo giorno dell’ultima mestruazione. Essa però non inizia durante il flusso mestruale bensì al momento dell’ovulazione, che in condizioni normali avviene 14 giorni dopo l’inizio della mestruazione.
L’età effettiva del feto sarà quindi sempre di 14 giorni inferiore rispetto a quella calcolata per convenzione.

In caso di cicli mestruali o di ovulazioni irregolari questi calcoli possono risultare inesatti, pertanto si farà riferimento alla ridatazione ecografica e, sulla base delle informazioni ottenute, risulterà possibile riprogrammare i tempi corretti per il monitoraggio della gravidanza e per l’attesa del parto.

Qualora la durata della gravidanza superi le 40 settimane, confermate dalla datazione ecografica, si rende necessario un monitoraggio intensivo del benessere fetale e, generalmente, se viene superata anche la 41a settimana si preferisce indurre farmacologicamente il travaglio di parto.

Una formula semplice per calcolare la data media ipotetica del parto consiste nell’aggiungere 7 giorni e togliere 3 mesi alla data di inizio dell’ultima mestruazione.

Fasi Gravidanza

L’ALIMENTAZIONE IN GRAVIDANZA

In linea di massima non sono necessari regimi dietetici appositi per la gravidanza. È generalmente sufficiente un’alimentazione bilanciata e variata cercando di evitare gli eccessi (anche in senso riduttivo).

Viene di norma ritenuto corretto un incremento ponderale a fine gravidanza che rappresenti un aumento del 25% rispetto al peso di partenza (ad esempio 62,5 Kg a termine in una paziente con un peso di partenza di 50 Kg).

È buona norma evitare gli eccessi alimentari di latticini, dolciumi e frutta (l’apporto calorico di quattro frutti al giorno equivale ad un piatto di spaghetti).

Sono invece consigliabili una buona colazione e piccoli pasti (ad esempio un frutto) a metà mattina e nel pomeriggio.

In alcune situazioni (ad esempio nausee all’inizio, difficoltà di digestione e bruciori gastrici negli ultimi mesi) può risultare utile suddividere l’alimentazione in piccoli pasti da distribuire nella giornata.

L’uso di grissini o di cracker può contribuire ad attenuare la nausea e l’eccesso di salivazione che generalmente la precede.

Un’abbondante idratazione (meglio se con acqua senza gas) a volte riesce a risolvere brillantemente la stipsi che frequentemente si presenta nel corso della gravidanza.

Vanno evitati l’eccesso di alcolici (non più di 2 bicchieri di vino al giorno), i superalcolici, i cibi speziati, quelli di cui non sia nota l’igienicità nella produzione e nella conservazione o potenzialmente tossici (ad esempio funghi di qualità non sicura).

Le verdure rappresentano un buon espediente per risolvere situazioni quali l’eccesso di fame e il rallentamento delle funzioni intestinali oltre naturalmente al notevole contributo nell’apporto di vitamine.

Nelle pazienti non immuni nei confronti della Toxoplasmosi è però necessario che le verdure siano state accuratamente lavate oppure che siano state cotte.

Va ricordato che anche le carni crude (compresi gli insaccati) rappresentano una potenziale fonte di trasmissione per la malattia.

Va posta molta attenzione anche ai prodotti ittici: tonno e pesce spada di grosse dimensioni possono essere ricchi di sostanze tossiche quali piombo e mercurio, tutti i pesci mangiati crudi senza che siano stati preventivamente trattati con l’abbattimento possono contenere larve di Anisakis (vermi che sviluppandosi nell’intestino lo possono anche perforare), tutti i frutti di mare sono, soprattutto se mangiati crudi, potenziale causa di gastroenteriti.

In caso di complicanze della gravidanza quali eccessivo incremento di peso, diabete, malattie dei reni o del fegato, aumento della pressione arteriosa, si renderanno necessari specifici regimi dietetici da valutare da caso a caso.

Un’alimentazione strettamente vegetariana determina uno scarso apporto di proteine e di sostanze (ad esempio il ferro), importanti tanto per la madre quanto per il feto, che sono presenti negli alimenti di origine animale. In questi casi sarà pertanto opportuno utilizzare degli integratori alimentari che possano, almeno in parte, sopperire alle carenze.

Infine va ricordato che lo stato di gravidanza non richiede che si mangi “per due”!

In linea di massima non sono necessari regimi dietetici appositi per la gravidanza. È generalmente sufficiente un’alimentazione bilanciata e variata cercando di evitare gli eccessi (anche in senso riduttivo).

Viene di norma ritenuto corretto un incremento ponderale a fine gravidanza che rappresenti un aumento del 25% rispetto al peso di partenza (ad esempio 62,5 Kg a termine in una paziente con un peso di partenza di 50 Kg).

È buona norma evitare gli eccessi alimentari di latticini, dolciumi e frutta (l’apporto calorico di quattro frutti al giorno equivale ad un piatto di spaghetti).

Sono invece consigliabili una buona colazione e piccoli pasti (ad esempio un frutto) a metà mattina e nel pomeriggio.

In alcune situazioni (ad esempio nausee all’inizio, difficoltà di digestione e bruciori gastrici negli ultimi mesi) può risultare utile suddividere l’alimentazione in piccoli pasti da distribuire nella giornata.

L’uso di grissini o di cracker può contribuire ad attenuare la nausea e l’eccesso di salivazione che generalmente la precede.

Un’abbondante idratazione (meglio se con acqua senza gas) a volte riesce a risolvere brillantemente la stipsi che frequentemente si presenta nel corso della gravidanza.

Vanno evitati l’eccesso di alcolici (non più di 2 bicchieri di vino al giorno), i superalcolici, i cibi speziati, quelli di cui non sia nota l’igienicità nella produzione e nella conservazione o potenzialmente tossici (ad esempio funghi di qualità non sicura).

Le verdure rappresentano un buon espediente per risolvere situazioni quali l’eccesso di fame e il rallentamento delle funzioni intestinali oltre naturalmente al notevole contributo nell’apporto di vitamine.

Nelle pazienti non immuni nei confronti della Toxoplasmosi è però necessario che le verdure siano state accuratamente lavate oppure che siano state cotte.

Va ricordato che anche le carni crude (compresi gli insaccati) rappresentano una potenziale fonte di trasmissione per la malattia.

Va posta molta attenzione anche ai prodotti ittici: tonno e pesce spada di grosse dimensioni possono essere ricchi di sostanze tossiche quali piombo e mercurio, tutti i pesci mangiati crudi senza che siano stati preventivamente trattati con l’abbattimento possono contenere larve di Anisakis (vermi che sviluppandosi nell’intestino lo possono anche perforare), tutti i frutti di mare sono, soprattutto se mangiati crudi, potenziale causa di gastroenteriti.

In caso di complicanze della gravidanza quali eccessivo incremento di peso, diabete, malattie dei reni o del fegato, aumento della pressione arteriosa, si renderanno necessari specifici regimi dietetici da valutare da caso a caso.

Un’alimentazione strettamente vegetariana determina uno scarso apporto di proteine e di sostanze (ad esempio il ferro), importanti tanto per la madre quanto per il feto, che sono presenti negli alimenti di origine animale. In questi casi sarà pertanto opportuno utilizzare degli integratori alimentari che possano, almeno in parte, sopperire alle carenze.

Infine va ricordato che lo stato di gravidanza non richiede che si mangi “per due”!

L’ATTIVITÁ LAVORATIVA

La gravidanza non è incompatibile con l’attività lavorativa, al contrario riteniamo che l’astensione dal lavoro senza una valida motivazione possa, dal punto di vista psicologico, far avvicinare lo stato di gravidanza a quello di malattia.

Vanno però vagliati il tipo di lavoro svolto dalla paziente e l’impegno che questo comporta (una lunga e difficoltosa trasferta quotidiana per raggiungere il posto di lavoro può, per esempio, risultare eccessivamente pesante per una donna gravida).

È stato dimostrato come un’attività lavorativa “pesante” e svolta in piedi possa determinare un maggior numero di complicanze nel decorso della gravidanza.

La legge 1207 del 1971 tutela le pazienti gravide in caso di comparsa di complicanze che pongano a rischio la gravidanza stessa (ad esempio minaccia di parto prematuro) e in questi casi è possibile richiedere il collocamento anticipato in congedo dall’attività lavorativa (il certificato, redatto da un medico autorizzato, deve essere presentato agli uffici dell’Azienda Sanitaria Locale)

Laddove non siano presenti gli estremi previsti dalla legge, ma si rilevi una condizione di estremo peso del lavoro per la paziente gravida, è possibile far richiesta al datore di lavoro che la dipendente venga destinata a mansioni più leggere e solo in caso di risposta negativa far ricorso alla legge sopra citata.

Normalmente il congedo obbligatorio dall’attività lavorativa decorre dalla scadenza del VII mese e viene richiesto su apposito formulario, redatto da un medico autorizzato, che deve essere inoltrato al datore di lavoro e agli uffici INPS.

Se al VII mese la gravidanza non presenta complicazioni è possibile richiedere, con apposito certificato da presentare all’INPS, che il congedo obbligatorio possa iniziare al termine dell’VIII mese con il vantaggio di un allungamento del congedo obbligatorio dopo il parto.

La gravidanza non è incompatibile con l’attività lavorativa, al contrario riteniamo che l’astensione dal lavoro senza una valida motivazione possa, dal punto di vista psicologico, far avvicinare lo stato di gravidanza a quello di malattia.

Vanno però vagliati il tipo di lavoro svolto dalla paziente e l’impegno che questo comporta (una lunga e difficoltosa trasferta quotidiana per raggiungere il posto di lavoro può, per esempio, risultare eccessivamente pesante per una donna gravida).

È stato dimostrato come un’attività lavorativa “pesante” e svolta in piedi possa determinare un maggior numero di complicanze nel decorso della gravidanza.

La legge 1207 del 1971 tutela le pazienti gravide in caso di comparsa di complicanze che pongano a rischio la gravidanza stessa (ad esempio minaccia di parto prematuro) e in questi casi è possibile richiedere il collocamento anticipato in congedo dall’attività lavorativa (il certificato, redatto da un medico autorizzato, deve essere presentato agli uffici dell’Azienda Sanitaria Locale)

Laddove non siano presenti gli estremi previsti dalla legge, ma si rilevi una condizione di estremo peso del lavoro per la paziente gravida, è possibile far richiesta al datore di lavoro che la dipendente venga destinata a mansioni più leggere e solo in caso di risposta negativa far ricorso alla legge sopra citata.

Normalmente il congedo obbligatorio dall’attività lavorativa decorre dalla scadenza del VII mese e viene richiesto su apposito formulario, redatto da un medico autorizzato, che deve essere inoltrato al datore di lavoro e agli uffici INPS.

Se al VII mese la gravidanza non presenta complicazioni è possibile richiedere, con apposito certificato da presentare all’INPS, che il congedo obbligatorio possa iniziare al termine dell’VIII mese con il vantaggio di un allungamento del congedo obbligatorio dopo il parto.

FUMO E ALCOL

Fumo in gravidanza

 

La nocività del fumo di sigaretta per chi fuma è un fatto assodato.

In gravidanza però va considerata anche la salute del nascituro che senza dubbio, analisi scientifiche l’hanno dimostrato, risente sfavorevolmente del fumo della madre.

È altrettanto evidente quanto sia difficile sospendere questa abitudine e soprattutto come la sospensione forzata possa alterare, anche se transitoriamente, alcune abitudini dell’organismo e possa essere causa di nervosismo e del ripiego verso altre forme di piacere surrogate (caramelle, alimentazione disordinata ecc.).

Se la sospensione completa del fumo risultasse pertanto eccessivamente difficoltosa è consigliabile limitarsi a 6- 7 sigarette al giorno (il superamento di questa soglia può comportare interferenze con l’accrescimento del feto).

Occorre però ricordate che alcune sostanze inalate dalla madre con il fumo vanno ad accumularsi nei tessuti fetali e a tutt’oggi risulta impossibile prevederne gli effetti a lunga scadenza.

 

 

Gli alcolici in gravidanza

 

Anche se potrebbe sembrare eccessivo il superamento di una quantità di alcol giornaliera, pari a quella contenuta in 1- 2 bicchieri di vino, è imputabile di complesse anomalie neonatali conosciute sotto il termine di “fetopatia alcolica”.

È pertanto consigliabile non superare questi limiti ed evitare l’uso dei superalcolici.

Fumo in gravidanza

 

La nocività del fumo di sigaretta per chi fuma è un fatto assodato.

In gravidanza però va considerata anche la salute del nascituro che senza dubbio, analisi scientifiche l’hanno dimostrato, risente sfavorevolmente del fumo della madre.

È altrettanto evidente quanto sia difficile sospendere questa abitudine e soprattutto come la sospensione forzata possa alterare, anche se transitoriamente, alcune abitudini dell’organismo e possa essere causa di nervosismo e del ripiego verso altre forme di piacere surrogate (caramelle, alimentazione disordinata ecc.).

Se la sospensione completa del fumo risultasse pertanto eccessivamente difficoltosa è consigliabile limitarsi a 6- 7 sigarette al giorno (il superamento di questa soglia può comportare interferenze con l’accrescimento del feto).

Occorre però ricordate che alcune sostanze inalate dalla madre con il fumo vanno ad accumularsi nei tessuti fetali e a tutt’oggi risulta impossibile prevederne gli effetti a lunga scadenza.

 

 

Gli alcolici in gravidanza

 

Anche se potrebbe sembrare eccessivo il superamento di una quantità di alcol giornaliera, pari a quella contenuta in 1- 2 bicchieri di vino, è imputabile di complesse anomalie neonatali conosciute sotto il termine di “fetopatia alcolica”.

È pertanto consigliabile non superare questi limiti ed evitare l’uso dei superalcolici.

VITA DI RELAZIONE E GRAVIDANZA

Lo sport

L’attività sportiva, se non si presentano complicazioni, può essere continuata nel corso della gravidanza.

È necessario usare il “buon senso” ed evitare sport pericolosi ed eccessivamente impegnativi.

Il nuoto rappresenta un validissimo modo per il mantenimento della forma fisica.

 

 

Le attività domestiche

Evitare le mansioni domestiche pesanti e prolungate (ad esempio stirare in piedi per ore) ed evitare le situazioni di potenziale rischio (ad esempio salire su scalette: svenimenti e giramenti di testa sono frequenti in gravidanza).

 

 

I mezzi di trasporto

In gravidanza è meglio evitare lunghe percorrenze in auto alla quale dovrebbero essere preferiti il treno o l’aereo (per volare dopo il quinto mese è necessario un certificato medico che attesti l’assenza di un rischio di conclusione imminente della gravidanza).

Viaggiando in auto è sempre consigliabile utilizzare le cinture di sicurezza o viaggiare sui sedili posteriori (è documentato come, in caso di incidente, le conseguenze per il feto siano state peggiori se la madre era sprovvista delle cinture).

 

 

La vita sessuale

In assenza di complicazioni (perdite di sangue genitali o minaccia di parto prematuro) non c’è alcun motivo di limitare la propria vita sessuale. È comunque opportuno seguire delle accurate norme igieniche e trattare ai primi sintomi la comparsa di eventuali infezioni genitali.

 

 

Le cure odontoiatriche

Il rigonfiamento gengivale, che compare normalmente in gravidanza, può essere causa di fastidiosi sanguinamenti che a volte inducono la paziente a sospendere le usuali pratiche di igiene orale.

Al contrario, in queste situazioni andrebbe incrementata la cura con la quale spazzolare denti, gengive e spazi interdentali.

In caso di necessità possono essere intraprese anche cure ortodontiche d’urgenza. È possibile sottoporsi ad anestesie locali (chiedendo al dentista se è possibile evitare prodotti contenenti vasocostrittori).

In caso si rendessero necessarie delle radiografie è consigliabile che, soprattutto nei primi mesi o anche solo se si sospetta la possibilità di una gravidanza, l’addome venga protetto con appositi schermi di piombo (ma si tratta di una prassi comunemente adottata negli studi odontoiatrici).

Lo sport

L’attività sportiva, se non si presentano complicazioni, può essere continuata nel corso della gravidanza.

È necessario usare il “buon senso” ed evitare sport pericolosi ed eccessivamente impegnativi.

Il nuoto rappresenta un validissimo modo per il mantenimento della forma fisica.

 

 

Le attività domestiche

Evitare le mansioni domestiche pesanti e prolungate (ad esempio stirare in piedi per ore) ed evitare le situazioni di potenziale rischio (ad esempio salire su scalette: svenimenti e giramenti di testa sono frequenti in gravidanza).

 

 

I mezzi di trasporto

In gravidanza è meglio evitare lunghe percorrenze in auto alla quale dovrebbero essere preferiti il treno o l’aereo (per volare dopo il quinto mese è necessario un certificato medico che attesti l’assenza di un rischio di conclusione imminente della gravidanza).

Viaggiando in auto è sempre consigliabile utilizzare le cinture di sicurezza o viaggiare sui sedili posteriori (è documentato come, in caso di incidente, le conseguenze per il feto siano state peggiori se la madre era sprovvista delle cinture).

 

 

La vita sessuale

In assenza di complicazioni (perdite di sangue genitali o minaccia di parto prematuro) non c’è alcun motivo di limitare la propria vita sessuale. È comunque opportuno seguire delle accurate norme igieniche e trattare ai primi sintomi la comparsa di eventuali infezioni genitali.

 

 

Le cure odontoiatriche

Il rigonfiamento gengivale, che compare normalmente in gravidanza, può essere causa di fastidiosi sanguinamenti che a volte inducono la paziente a sospendere le usuali pratiche di igiene orale.

Al contrario, in queste situazioni andrebbe incrementata la cura con la quale spazzolare denti, gengive e spazi interdentali.

In caso di necessità possono essere intraprese anche cure ortodontiche d’urgenza. È possibile sottoporsi ad anestesie locali (chiedendo al dentista se è possibile evitare prodotti contenenti vasocostrittori).

In caso si rendessero necessarie delle radiografie è consigliabile che, soprattutto nei primi mesi o anche solo se si sospetta la possibilità di una gravidanza, l’addome venga protetto con appositi schermi di piombo (ma si tratta di una prassi comunemente adottata negli studi odontoiatrici).

IL MONITORAGGIO CLINICO DELLA GRAVIDANZA

Il monitoraggio medico della gravidanza non può certo garantirne il successo ma consente di aumentare le probabilità che questo risultato si realizzi.

Sottoponendo la madre e il feto ad accertamenti seriati nel corso dei nove mesi della gravidanza, e anche prima che questa inizi, è, infatti, possibile riconoscere con tempestività eventuali alterazioni nel decorso della stessa e, dove possibile, porre dei rimedi.

Gli strumenti utilizzati per il monitoraggio della gravidanza sono:

  • La raccolta della storia clinica della paziente e del suo partner e delle rispettive storie familiari
  • Le visite ginecologiche
  • Gli esami del sangue e delle urine
  • Le indagini ecografiche
  • Il monitoraggio cardiotocografico
  • I test non invasivi (NIPT) per lo screening delle anomalie cromosomiche fetali
  • La Diagnosi Prenatale mediante l’utilizzo di test invasivi.

 

Gli esami ematochimici e delle urine

Gli esami del sangue consentono di ottenere molte informazioni relative allo stato di benessere della madre e del feto.

Gli esami più importanti sono quelli effettuati all’inizio della gravidanza perché in base ai loro risultati sarà possibile indirizzare gli accertamenti successivi.

In linea di massima si cerca di non sottoporre la paziente gravida a noiosi prelievi di sangue mensili, a meno che non siano stati rilevati risultati alterati che richiedano una verifica ravvicinata.

Alcuni esami, per poter fornire delle informazioni utili, devono essere effettuati in epoche ben precise della gravidanza (il Bi test a 10- 11 settimane, il dosaggio della a-fetoproteina a 16- 18 settimane la curva glicemica da carico orale a 26-28 settimane)

Il test di Coombs (nelle pazienti con gruppo sanguigno Rh negativo) e gli accertamenti per le malattie infettive (nelle pazienti non protette) vanno ripetuti almeno ogni due mesi.

 

 

L’ecografia

L’ecografia è uno strumento irrinunciabile per il corretto monitoraggio della gravidanza.

Le informazioni ottenute tramite l’esame ecografico dipendono in gran parte dall’epoca di gestazione alla quale esso viene effettuato:

  • L’embrione e il suo battito cardiaco sono di norma visualizzabili solo dopo la 6a settimana dall’inizio dell’ultima mestruazione ma già alla 5a è riconoscibile la presenza della gravidanza all’interno della cavità uterina;
  • Tra la 10a e la 13a settimana è possibile “datare” la gravidanza, visualizzare i movimenti attivi del feto.

A quest’epoca di gravidanza si possono già trarre importanti informazioni relative le strutture corporee del feto ed effettuare test di screening per la stima del rischio di anomalie cromosomiche (translucenza nucale) e anche valutazioni di orientamento relativamente al rischio di future complicanze della gravidanza (iposviluppo fetale e gestosi).

  • Tra la 20a e la 22a settimana viene effettuato uno studio più approfondito degli organi fetali. L’ecografia eseguita a quest’epoca svolge quindi un ruolo molto importante di Diagnosi Prenatale delle alterazioni di struttura fetale.

Occorre sottolineare che alcune anomalie fetali possono essere evidenziate solo in epoca più avanzata di gravidanza e, a volte, solo dopo la nascita.

Al quinto mese possono inoltre essere valutati i potenziali rischi di complicanze future della gravidanza quali parto prematuro, iposviluppo fetale e gestosi materna.

In caso di risultati indicativi di rischio aumentato per queste patologie possono essere attivate misure correttive per ridurne la possibilità di comparsa e verrà modificato il piano di osservazione della gravidanza.

  • A 28 e a 34 settimane l’esame fornisce invece, prevalentemente, informazioni relative al benessere e alla crescita fetale ma verranno anche rivalutate le strutture anatomiche indagabili.
  • Anche al termine della gravidanza l’ecografia permette un’accurata valutazione del benessere fetale, della sua presentazione e della localizzazione della placenta e ancora il controllo degli organi che si possono visualizzaare.

Il monitoraggio medico della gravidanza non può certo garantirne il successo ma consente di aumentare le probabilità che questo risultato si realizzi.

Sottoponendo la madre e il feto ad accertamenti seriati nel corso dei nove mesi della gravidanza, e anche prima che questa inizi, è, infatti, possibile riconoscere con tempestività eventuali alterazioni nel decorso della stessa e, dove possibile, porre dei rimedi.

Gli strumenti utilizzati per il monitoraggio della gravidanza sono:

  • La raccolta della storia clinica della paziente e del suo partner e delle rispettive storie familiari
  • Le visite ginecologiche
  • Gli esami del sangue e delle urine
  • Le indagini ecografiche
  • Il monitoraggio cardiotocografico
  • I test non invasivi (NIPT) per lo screening delle anomalie cromosomiche fetali
  • La Diagnosi Prenatale mediante l’utilizzo di test invasivi.

 

Gli esami ematochimici e delle urine

Gli esami del sangue consentono di ottenere molte informazioni relative allo stato di benessere della madre e del feto.

Gli esami più importanti sono quelli effettuati all’inizio della gravidanza perché in base ai loro risultati sarà possibile indirizzare gli accertamenti successivi.

In linea di massima si cerca di non sottoporre la paziente gravida a noiosi prelievi di sangue mensili, a meno che non siano stati rilevati risultati alterati che richiedano una verifica ravvicinata.

Alcuni esami, per poter fornire delle informazioni utili, devono essere effettuati in epoche ben precise della gravidanza (il Bi test a 10- 11 settimane, il dosaggio della a-fetoproteina a 16- 18 settimane la curva glicemica da carico orale a 26-28 settimane)

Il test di Coombs (nelle pazienti con gruppo sanguigno Rh negativo) e gli accertamenti per le malattie infettive (nelle pazienti non protette) vanno ripetuti almeno ogni due mesi.

 

 

L’ecografia

L’ecografia è uno strumento irrinunciabile per il corretto monitoraggio della gravidanza.

Le informazioni ottenute tramite l’esame ecografico dipendono in gran parte dall’epoca di gestazione alla quale esso viene effettuato:

  • L’embrione e il suo battito cardiaco sono di norma visualizzabili solo dopo la 6a settimana dall’inizio dell’ultima mestruazione ma già alla 5a è riconoscibile la presenza della gravidanza all’interno della cavità uterina;
  • Tra la 10a e la 13a settimana è possibile “datare” la gravidanza, visualizzare i movimenti attivi del feto.

A quest’epoca di gravidanza si possono già trarre importanti informazioni relative le strutture corporee del feto ed effettuare test di screening per la stima del rischio di anomalie cromosomiche (translucenza nucale) e anche valutazioni di orientamento relativamente al rischio di future complicanze della gravidanza (iposviluppo fetale e gestosi).

  • Tra la 20a e la 22a settimana viene effettuato uno studio più approfondito degli organi fetali. L’ecografia eseguita a quest’epoca svolge quindi un ruolo molto importante di Diagnosi Prenatale delle alterazioni di struttura fetale.

Occorre sottolineare che alcune anomalie fetali possono essere evidenziate solo in epoca più avanzata di gravidanza e, a volte, solo dopo la nascita.

Al quinto mese possono inoltre essere valutati i potenziali rischi di complicanze future della gravidanza quali parto prematuro, iposviluppo fetale e gestosi materna.

In caso di risultati indicativi di rischio aumentato per queste patologie possono essere attivate misure correttive per ridurne la possibilità di comparsa e verrà modificato il piano di osservazione della gravidanza.

  • A 28 e a 34 settimane l’esame fornisce invece, prevalentemente, informazioni relative al benessere e alla crescita fetale ma verranno anche rivalutate le strutture anatomiche indagabili.
  • Anche al termine della gravidanza l’ecografia permette un’accurata valutazione del benessere fetale, della sua presentazione e della localizzazione della placenta e ancora il controllo degli organi che si possono visualizzaare.

SCREENING NEL PRIMO TRIMESTRE

Diagnosi dei difetti congeniti:

  • 20-30 neonati su mille nati sono affetti da un difetto congenito,La frequenza delle anomalie cromosomiche è di 4-5 casi su mille nati e rappresentano il 20-30% delle cause di un difetto congenito,Il calcolo del rischio per anomalie cromosomiche si basa su età materna ed epoca gestazionale:
    • Il rischio di trisomie aumenta con l’avanzare dell’età materna.
    • Il rischio per la Sindrome di Turner e per la triploidia non 
varia con l’età materna.
    • Il 30% dei feti affetti da trisomia 21 va incontro ad aborto spontaneo o morte endouterina nel periodo compreso tra la 12° e la 40° settimana di gravidanza
    • Nelle trisomie 18 e 13 e nella Sindrome di Turner la percentuale di aborto spontaneo o morte endouterina fra le 12 e le 40 settimane, è circa dell’80%.

     

    La precisione nella stima dei rischi di malformazioni fetali aumenta notevolmente quando siano state raccolte informazioni sulla storia familiare e personale dei due futuri genitori e sia stato eseguito un accurato studio ecografico del feto.

     

    Non sempre è facile e immediata la scelta del percorso migliore:

    Prelievo di Villi Coriali e Amniocentesi consentono di ottenere il quadro completo di tutti i cromosomi fetali ma espongono la gravidanza all’aumento della probabilità di aborto.

    I test prenatali di screening consentono di individuare i feti con maggior rischio per le più frequenti anomalie cromosomiche gravi e una scelta più oculata del percorso:

     

    • a 10-11 settimane determinazione nel sangue materno dei valori di ß-HCG e di PAPP-A (bi Test) cui può essere aggiunto quella della PLGF
    • a 12-14 settimane ecografia per l’analisi delle strutture fetali e degli indicatori di rischio per anomalie cromosomiche (translucenza nucale, presenza dell’osso del naso, flussimetria Doppler del dotto venoso)
    Metodo di screening Sensibilità (%)
    Età materna (MA) >38 anni 30
    MA e biochimica materna a 15–18 settimane 50–70
    MA e translucenza nucale (NT) a 11–13+6 settimane 70–80
    MA e NT fetale e free b-hCG e PAPP-A[1] sierica materna a 11–13+6 settimane 85–90
    MA e NT fetale e osso nasale fetale (NB) a 11–13+6 settimane 90
    MA e NT e NB e free b-hCG e PAPP-A a 11–13+6 settimane 95
    DNA libero fetale nel sangue materno 99,9
    Confronto fra le sensibilità (Detection rate) di diverse metodiche di screening per la trisomia 21, quando venga preso in considerazione il 5% delle pazienti con il rischio più alto
    I test biochimici sono più efficaci se eseguiti tra 10 e 11 settimane di gestazione mentre la valutazione ecografica del feto è più informativa tra le 12 e 13 settimane.Per tale motivo proponiamo, se possibile, un programma di indagine in due tempi.

     

     

     

Diagnosi dei difetti congeniti:

  • 20-30 neonati su mille nati sono affetti da un difetto congenito,La frequenza delle anomalie cromosomiche è di 4-5 casi su mille nati e rappresentano il 20-30% delle cause di un difetto congenito,Il calcolo del rischio per anomalie cromosomiche si basa su età materna ed epoca gestazionale:
    • Il rischio di trisomie aumenta con l’avanzare dell’età materna.
    • Il rischio per la Sindrome di Turner e per la triploidia non 
varia con l’età materna.
    • Il 30% dei feti affetti da trisomia 21 va incontro ad aborto spontaneo o morte endouterina nel periodo compreso tra la 12° e la 40° settimana di gravidanza
    • Nelle trisomie 18 e 13 e nella Sindrome di Turner la percentuale di aborto spontaneo o morte endouterina fra le 12 e le 40 settimane, è circa dell’80%.

     

    La precisione nella stima dei rischi di malformazioni fetali aumenta notevolmente quando siano state raccolte informazioni sulla storia familiare e personale dei due futuri genitori e sia stato eseguito un accurato studio ecografico del feto.

     

    Non sempre è facile e immediata la scelta del percorso migliore:

    Prelievo di Villi Coriali e Amniocentesi consentono di ottenere il quadro completo di tutti i cromosomi fetali ma espongono la gravidanza all’aumento della probabilità di aborto.

    I test prenatali di screening consentono di individuare i feti con maggior rischio per le più frequenti anomalie cromosomiche gravi e una scelta più oculata del percorso:

     

    • a 10-11 settimane determinazione nel sangue materno dei valori di ß-HCG e di PAPP-A (bi Test) cui può essere aggiunto quella della PLGF
    • a 12-14 settimane ecografia per l’analisi delle strutture fetali e degli indicatori di rischio per anomalie cromosomiche (translucenza nucale, presenza dell’osso del naso, flussimetria Doppler del dotto venoso)
    Metodo di screening Sensibilità (%)
    Età materna (MA) >38 anni 30
    MA e biochimica materna a 15–18 settimane 50–70
    MA e translucenza nucale (NT) a 11–13+6 settimane 70–80
    MA e NT fetale e free b-hCG e PAPP-A[1] sierica materna a 11–13+6 settimane 85–90
    MA e NT fetale e osso nasale fetale (NB) a 11–13+6 settimane 90
    MA e NT e NB e free b-hCG e PAPP-A a 11–13+6 settimane 95
    DNA libero fetale nel sangue materno 99,9
    Confronto fra le sensibilità (Detection rate) di diverse metodiche di screening per la trisomia 21, quando venga preso in considerazione il 5% delle pazienti con il rischio più alto
    I test biochimici sono più efficaci se eseguiti tra 10 e 11 settimane di gestazione mentre la valutazione ecografica del feto è più informativa tra le 12 e 13 settimane.Per tale motivo proponiamo, se possibile, un programma di indagine in due tempi.

     

DIFETTI CONGENITI FETALI E DIAGNOSI PRENATALE

Le diverse procedure di Diagnosi Prenatale permettono di riconoscere prima della nascita la presenza di malformazioni o di attività funzionali alterate del feto.

 

A volte i dati acquisiti per mezzo della “diagnosi” consentono di intraprendere, ancora nel corso della gravidanza, una via terapeutica per limitare, o addirittura annullare, il danno (malattie infettive, sindrome cortico-surreno-genitale).

In altri casi la paziente verrà indirizzata, per l’espletamento del parto in Centri dove sia possibile un tempestivo intervento chirurgico in grado di correggere l’evento malformativo (alcune malformazioni cardiache, dell’apparato gastroenterico, di quello uropoietico, della parete addominale).

Quando però non sia possibile prospettare cure risolutive può essere offerta l’alternativa dell’interruzione della gravidanza.

A quest’ultimo proposito la Legge in Italia (L 194/78 art 6) prevede tempi e modalità operative ben precisi.

 

Epidemiologia

Due- tre neonati su 100 sono portatori di una anomalia congenita.

Non tutte le patologie evidenziate sono causa di conseguenze gravi e invalidanti (ad esempio molte cardiopatie, anomalie gastro intestinali e dell’apparato urinario, labio-palatoschisi possono essere trattate chirurgicamente con successo) ciononostante la nascita di un bimbo portatore di un difetto congenito rappresenta un evento infausto per la famiglia.

La Diagnosi Prenatale rappresenta il tentativo di riconoscere ancora durante la vita intrauterina le patologie più gravi e invalidanti.

È molto importante conoscere le cause e le modalità di espressione e di trasmissione delle anomalie congenite per poter utilizzare al meglio gli strumenti diagnostici a nostra disposizione.

 

 

Cause Dei Difetti Congeniti

  • Alterazioni causate da Anomalie Cromosomiche
  • Alterazioni causate da Anomalie Geniche
  • Alterazioni causate da agenti infettivi
  • Alterazioni causate da sostanze tossiche o agenti chimici
  • Alterazioni causate da radiazioni
  • Alterazioni da causa sconosciuta

 

 

 

Alterazioni causate da Anomalie Cromosomiche

I cromosomi sono organuli con la funzione di “contenitori” della maggior parte del materiale ereditario.

Sono visualizzabili, tramite il microscopio ottico, e nell’uomo sono 46 contenuti in ogni cellula provvista di nucleo, appaiati in 23 coppie composte da un elemento di origine paterna e uno di origine materna.

Le Anomalie Cromosomiche sono determinate dalla presenza di cromosomi, o di porzioni di essi, in sovrannumero o in difetto.

Nella maggior parte dei casi tali alterazioni sono dovute ad eventi occasionali che hanno interferito con la maturazione dello spermatozoo o della cellula uovo che hanno portato a quella gravidanza.

Fattori diversi possono condizionare il rischio di generare un figlio con un corredo cromosomico alterato, tra i tanti vanno ricordati: l’età della madre (Tabella 1), l’esposizione del padre o della madre, in epoca precedente al concepimento, ad agenti mutageni (ad esempio radiazioni ionizzanti, sostanze antitumorali), la pregressa poliabortività.

La trisomia del cromosoma 21 (sindrome di Down) è l’anomalia di gran lunga più frequente alla nascita (53%) e insieme alle meno frequenti trisomia 18 (sindrome di Edwards) e 13 (sindrome di Patau) raggiunge il 70% delle malattie cromosomiche alla nascita.

Il rischio di ricorrenza familiare delle alterazioni cromosomiche è basso.

 

 

rischio per la rischio per tute
eta’ S. Di Down le Anomalia Comosomiche
20 1/1667 1/526
30 1/952 1/385
35 1/385 1/202
40 1/106 1/65
42 1/64 1/40
45 1/30 1/20
47 1/18 1/13
49 1/11 1/7
Tabella1. Relazione tra l’eta’ materna e il rischio di Anomalie Cromosomiche
*Dati modificati da Hook EB, Cross PK, Schreinemachers DM. JAMA 1983;249:2034-8

 

 

rischio per la rischio per tute
eta’ S. Di Down le Anomalia Comosomiche
20 1/1667 1/526
30 1/952 1/385
35 1/385 1/202
40 1/106 1/65
42 1/64 1/40
45 1/30 1/20
47 1/18 1/13
49 1/11 1/7
Tabella1. Relazione tra l’eta’ materna e il rischio di Anomalie Cromosomiche
*Dati modificati da Hook EB, Cross PK, Schreinemachers DM. JAMA 1983;249:2034-8

Alterazioni causate da Anomalie Geniche

I geni sono porzioni di DNA che contengono le informazioni che determinano le caratteristiche, la struttura e le funzioni di un individuo.

I geni che hanno una funzione nell’uomo sono stimati tra 50,000- 100,000 e sono in coppie ereditate per metà dal padre e per metà dalla madre

La perdita, o l’alterazione della struttura, di un gene può essere causa di malattie che si trasmettono per via ereditaria.

Ci sono differenti modi di trasmissione ereditaria di queste anomalie.

Attualmente sono state catalogate più di 25,000 differenti patologie per le quali è documentata o ipotizzata una alterazione genica.

Si tratta di eventi molto rari e nella popolazione generale il rischio di un figlio affetto da una malattia genica è di 3- 4 casi su mille nati.

Nelle famiglie in cui si siano manifestate malattie geniche la frequenza di figli malati è del 25% o del 50% a seconda della modalità di trasmissione.

Nella tabella 2 sono riportate le malattie geniche più frequenti

In presenza di rischio familiare di malattie geniche la diagnosi prenatale sul feto richiede la preliminare acquisizione di informazioni utili al percorso di analisi.

Ogni individuo possiede nel proprio patrimonio ereditario dei geni alterati, ma essendo estremamente bassa la possibilità che anche il partner sia portatore della stessa alterazione la nascita di un figlio malato è un evento molto raro.

In caso di consanguineità dei partner, potenziali portatori di simili alterazioni del DNA, il rischio è più alto (circa doppio rispetto alla popolazione generale) ma aspecifico, ovvero con l’impossibilità di prevedere quale malattia possa comportare.

 

 

     
Malattia Trasmissione Frequenza
   
Su 1000 nati vivi
Rene policistico adulto, tipo I AD 8
b– Thalassemia AR 0,5
Iperplasia surrenale AR 1
Fibrosi cistica AR 5
 Distrofia muscolare di Duchenne/Becker XLR 2
Poliposi familiare del colon AD 1
Sindrome dell’X- fragile XLR

0,25 maschi

0,1 femmine

Emofilia A (deficit fattore IX) XLR 1
Malattia di Huntington AD 5
Sindrome di Marfan AD 0,4
Distrofia miotonica AD 2
Neurofibromatosi tipo I e II AD 4
Fenilchetonuria AR 1
Retinoblastoma AD 0,3
Malattia di Tay-Sachs AR 0,04
Ipercolesterolemia familiare AD 2
Tabella 2. Elenco delle Anomalie Geniche diagnosticabili mediante analisi del DNA

AR = autosomica recessiva, rischio di trasmissione (solo se entrambi i genitori sono portatori sani) 25%

AD = autosomica dominante, rischio di trasmissione (se un genitore è affetto) 50%

XLR= legata al cromosoma X, rischio di trasmissione (se la madre è portatrice sana) 50% dei figli maschi

Malattia Trasmissione Frequenza
 

Su 1000 nati vivi

 

Rene policistico adulto, tipo I AD 8
b- Thalassemia AR 0,5
Iperplasia surrenale AR 1
Fibrosi cistica AR 5
Distrofia muscolare di Duchenne/Becker XLR 2
Poliposi familiare del colon AD 1
Sindrome dell’X-fragile XLR 0,25 maschi
0,1 femmine
Emofilia A (deficit fattore IX) XLR 1
Malattia di Huntington AD 5
Sindrome di Marfan AD 0,4
Distrofia miotonica AD 2
Neurofibromatosi tipo I e II AD 4
Fenilchetonuria AR 1
Retinoblastoma AD 0,3
Malattia di Tay-Sachs AR 0,04
Ipercolesterolemia familiare AD 2
Tabella 2. Elenco delle Anomalie Geniche diagnosticabili mediante analisi del DNA
AR=autosomica recessiva, rischio di trasmissione(solo se entrambi i genitori sono portatori sani)25%
AD= autosomica dominante, rischio di trasmissione (se un genitore è affetto)50%
AR=autosomica recessiva, rischio di trasmissione(solo se entrambi i genitori sono portatori sani)25%
XLR=legata al cromosoma X,rischio di trasmissione(se la madre è portatrice sana)50% dei figli maschi

 

Alterazioni causate da sostanze tossiche o da agenti chimici

Sono poche sostanze chimiche che determinano, in maniera accertata, effetti malformativi a carico del feto se somministrate alla madre durante la gravidanza. Ciononostante risulta estremamente difficoltoso attribuire un ruolo di completa “innocuità” agli agenti che non compaiono nell’elenco dei “pericolosi”.

I periodi della gravidanza più a rischio sono rappresentati dai primi tre mesi (durante i quali avviene la formazione degli organi fetali) e le ultime settimane di gravidanza (per la prossima cessazione, con il parto, dell’attività di tamponamento offerta dall’organismo materno). Anche il periodo precedente al concepimento richiede attenzione per quanto riguarda l’esposizione a sostanze tossiche.

Dovrebbe essere buona norma interpellare il proprio medico prima di assumere qualsiasi medicinale.

È inoltre importante valutare gli eventuali rischi connessi all’esposizione nell’ambito lavorativo.

In caso di sospetto sarebbe opportuno che il medico stesso, fornito di ogni documentazione, faccia riferimento ad un Centro di Tossicologia.

 

NB Non va dimenticato che anche sostanze di uso comune come l’alcol e il fumo di sigaretta possono essere responsabili di ben documentate conseguenze sul feto.

 

Alterazioni causate da radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti rappresentano un rischio sicuro per il feto anche se spesso risulta difficile stabilirne l’entità.

L’esposizione a questo agente fisico nel corso delle prime tre settimane dal concepimento determina un effetto “tutto o nulla” (ovvero: aborto o nessun effetto).

Sono esposte al rischio le pazienti che per mansioni lavorative abbiano contatto con apparecchiature radiologiche a con materiale radioattivo ma anche le pazienti che in corso di gravidanza vengano sottoposte ad accertamenti radiologici.

Per le prime la Legge prevede l’allontanamento dalle mansioni a rischio durante la gravidanza.

Per tutelare le seconde dovrebbe essere sempre esclusa con certezza la gravidanza prima dell’esecuzione di esami radiologici e in caso di accertamenti indispensabili e non rimandabili dovrebbe essere ridotta la dose di radiazioni e attuata una protezione del bacino materno mediante schermature con piombo.

 

 

Alterazioni da causa sconosciuta

Per circa 60% delle alterazioni congenite non è conosciuta la causa determinante.

Per queste situazioni vengono quindi a mancare i presupposti per una indagine mirata.

Ciononostante è possibile avvalersi di strumenti idonei sia per il calcolo del rischio che per la Diagnosi Prenatale vera e propria.

Ad esempio per i difetti di chiusura del tubo neurale (il più frequente è la spina bifida) sono possibili interventi preventivi (assunzione di acido folico nei mesi precedenti la gravidanza) e diagnosi prenatale con l’esame ecografico e il dosaggio della a-fetoproteina o alfa-fetoproteina

 

Le diverse procedure di Diagnosi Prenatale permettono di riconoscere prima della nascita la presenza di malformazioni o di attività funzionali alterate del feto.

 

A volte i dati acquisiti per mezzo della “diagnosi” consentono di intraprendere, ancora nel corso della gravidanza, una via terapeutica per limitare, o addirittura annullare, il danno (malattie infettive, sindrome cortico-surreno-genitale).

In altri casi la paziente verrà indirizzata, per l’espletamento del parto in Centri dove sia possibile un tempestivo intervento chirurgico in grado di correggere l’evento malformativo (alcune malformazioni cardiache, dell’apparato gastroenterico, di quello uropoietico, della parete addominale).

Quando però non sia possibile prospettare cure risolutive può essere offerta l’alternativa dell’interruzione della gravidanza.

A quest’ultimo proposito la Legge in Italia (L 194/78 art 6) prevede tempi e modalità operative ben precisi.

 

Epidemiologia

Due- tre neonati su 100 sono portatori di una anomalia congenita.

Non tutte le patologie evidenziate sono causa di conseguenze gravi e invalidanti (ad esempio molte cardiopatie, anomalie gastro intestinali e dell’apparato urinario, labio-palatoschisi possono essere trattate chirurgicamente con successo) ciononostante la nascita di un bimbo portatore di un difetto congenito rappresenta un evento infausto per la famiglia.

La Diagnosi Prenatale rappresenta il tentativo di riconoscere ancora durante la vita intrauterina le patologie più gravi e invalidanti.

È molto importante conoscere le cause e le modalità di espressione e di trasmissione delle anomalie congenite per poter utilizzare al meglio gli strumenti diagnostici a nostra disposizione.

 

 

Cause Dei Difetti Congeniti

  • Alterazioni causate da Anomalie Cromosomiche
  • Alterazioni causate da Anomalie Geniche
  • Alterazioni causate da agenti infettivi
  • Alterazioni causate da sostanze tossiche o agenti chimici
  • Alterazioni causate da radiazioni
  • Alterazioni da causa sconosciuta

 

 

 

Alterazioni causate da Anomalie Cromosomiche

I cromosomi sono organuli con la funzione di “contenitori” della maggior parte del materiale ereditario.

Sono visualizzabili, tramite il microscopio ottico, e nell’uomo sono 46 contenuti in ogni cellula provvista di nucleo, appaiati in 23 coppie composte da un elemento di origine paterna e uno di origine materna.

Le Anomalie Cromosomiche sono determinate dalla presenza di cromosomi, o di porzioni di essi, in sovrannumero o in difetto.

Nella maggior parte dei casi tali alterazioni sono dovute ad eventi occasionali che hanno interferito con la maturazione dello spermatozoo o della cellula uovo che hanno portato a quella gravidanza.

Fattori diversi possono condizionare il rischio di generare un figlio con un corredo cromosomico alterato, tra i tanti vanno ricordati: l’età della madre (Tabella 1), l’esposizione del padre o della madre, in epoca precedente al concepimento, ad agenti mutageni (ad esempio radiazioni ionizzanti, sostanze antitumorali), la pregressa poliabortività.

La trisomia del cromosoma 21 (sindrome di Down) è l’anomalia di gran lunga più frequente alla nascita (53%) e insieme alle meno frequenti trisomia 18 (sindrome di Edwards) e 13 (sindrome di Patau) raggiunge il 70% delle malattie cromosomiche alla nascita.

Il rischio di ricorrenza familiare delle alterazioni cromosomiche è basso.

 

rischio per la rischio per tute
eta’ S. Di Down le Anomalia Comosomiche
20 1/1667 1/526
30 1/952 1/385
35 1/385 1/202
40 1/106 1/65
42 1/64 1/40
45 1/30 1/20
47 1/18 1/13
49 1/11 1/7
Tabella1. Relazione tra l’eta’ materna e il rischio di Anomalie Cromosomiche
*Dati modificati da Hook EB, Cross PK, Schreinemachers DM. JAMA 1983;249:2034-8
rischio per la rischio per tute
eta’ S. Di Down le Anomalia Comosomiche
20 1/1667 1/526
30 1/952 1/385
35 1/385 1/202
40 1/106 1/65
42 1/64 1/40
45 1/30 1/20
47 1/18 1/13
49 1/11 1/7
Tabella1. Relazione tra l’eta’ materna e il rischio di Anomalie Cromosomiche
*Dati modificati da Hook EB, Cross PK, Schreinemachers DM. JAMA 1983;249:2034-8

Alterazioni causate da Anomalie Geniche

I geni sono porzioni di DNA che contengono le informazioni che determinano le caratteristiche, la struttura e le funzioni di un individuo.

I geni che hanno una funzione nell’uomo sono stimati tra 50,000- 100,000 e sono in coppie ereditate per metà dal padre e per metà dalla madre

La perdita, o l’alterazione della struttura, di un gene può essere causa di malattie che si trasmettono per via ereditaria.

Ci sono differenti modi di trasmissione ereditaria di queste anomalie.

Attualmente sono state catalogate più di 25,000 differenti patologie per le quali è documentata o ipotizzata una alterazione genica.

Si tratta di eventi molto rari e nella popolazione generale il rischio di un figlio affetto da una malattia genica è di 3- 4 casi su mille nati.

Nelle famiglie in cui si siano manifestate malattie geniche la frequenza di figli malati è del 25% o del 50% a seconda della modalità di trasmissione.

Nella tabella 2 sono riportate le malattie geniche più frequenti

In presenza di rischio familiare di malattie geniche la diagnosi prenatale sul feto richiede la preliminare acquisizione di informazioni utili al percorso di analisi.

Ogni individuo possiede nel proprio patrimonio ereditario dei geni alterati, ma essendo estremamente bassa la possibilità che anche il partner sia portatore della stessa alterazione la nascita di un figlio malato è un evento molto raro.

In caso di consanguineità dei partner, potenziali portatori di simili alterazioni del DNA, il rischio è più alto (circa doppio rispetto alla popolazione generale) ma aspecifico, ovvero con l’impossibilità di prevedere quale malattia possa comportare.

 

 

     
Malattia Trasmissione Frequenza
   
Su 1000 nati vivi
Rene policistico adulto, tipo I AD 8
b– Thalassemia AR 0,5
Iperplasia surrenale AR 1
Fibrosi cistica AR 5
 Distrofia muscolare di Duchenne/Becker XLR 2
Poliposi familiare del colon AD 1
Sindrome dell’X- fragile XLR

0,25 maschi

0,1 femmine

Emofilia A (deficit fattore IX) XLR 1
Malattia di Huntington AD 5
Sindrome di Marfan AD 0,4
Distrofia miotonica AD 2
Neurofibromatosi tipo I e II AD 4
Fenilchetonuria AR 1
Retinoblastoma AD 0,3
Malattia di Tay-Sachs AR 0,04
Ipercolesterolemia familiare AD 2
Tabella 2. Elenco delle Anomalie Geniche diagnosticabili mediante analisi del DNA

AR = autosomica recessiva, rischio di trasmissione (solo se entrambi i genitori sono portatori sani) 25%

AD = autosomica dominante, rischio di trasmissione (se un genitore è affetto) 50%

XLR= legata al cromosoma X, rischio di trasmissione (se la madre è portatrice sana) 50% dei figli maschi

Malattia Trasmissione Frequenza
 

Su 1000 nati vivi

 

Rene policistico adulto, tipo I AD 8
b- Thalassemia AR 0,5
Iperplasia surrenale AR 1
Fibrosi cistica AR 5
Distrofia muscolare di Duchenne/Becker XLR 2
Poliposi familiare del colon AD 1
Sindrome dell’X-fragile XLR 0,25 maschi
0,1 femmine
Emofilia A (deficit fattore IX) XLR 1
Malattia di Huntington AD 5
Sindrome di Marfan AD 0,4
Distrofia miotonica AD 2
Neurofibromatosi tipo I e II AD 4
Fenilchetonuria AR 1
Retinoblastoma AD 0,3
Malattia di Tay-Sachs AR 0,04
Ipercolesterolemia familiare AD 2
Tabella 2. Elenco delle Anomalie Geniche diagnosticabili mediante analisi del DNA
AR=autosomica recessiva, rischio di trasmissione(solo se entrambi i genitori sono portatori sani)25%
AD= autosomica dominante, rischio di trasmissione (se un genitore è affetto)50%
AR=autosomica recessiva, rischio di trasmissione(solo se entrambi i genitori sono portatori sani)25%
XLR=legata al cromosoma X,rischio di trasmissione(se la madre è portatrice sana)50% dei figli maschi

Alterazioni causate da sostanze tossiche o da agenti chimici

Sono poche sostanze chimiche che determinano, in maniera accertata, effetti malformativi a carico del feto se somministrate alla madre durante la gravidanza. Ciononostante risulta estremamente difficoltoso attribuire un ruolo di completa “innocuità” agli agenti che non compaiono nell’elenco dei “pericolosi”.

I periodi della gravidanza più a rischio sono rappresentati dai primi tre mesi (durante i quali avviene la formazione degli organi fetali) e le ultime settimane di gravidanza (per la prossima cessazione, con il parto, dell’attività di tamponamento offerta dall’organismo materno). Anche il periodo precedente al concepimento richiede attenzione per quanto riguarda l’esposizione a sostanze tossiche.

Dovrebbe essere buona norma interpellare il proprio medico prima di assumere qualsiasi medicinale.

È inoltre importante valutare gli eventuali rischi connessi all’esposizione nell’ambito lavorativo.

In caso di sospetto sarebbe opportuno che il medico stesso, fornito di ogni documentazione, faccia riferimento ad un Centro di Tossicologia.

 

NB Non va dimenticato che anche sostanze di uso comune come l’alcol e il fumo di sigaretta possono essere responsabili di ben documentate conseguenze sul feto.

 

Alterazioni causate da radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti rappresentano un rischio sicuro per il feto anche se spesso risulta difficile stabilirne l’entità.

L’esposizione a questo agente fisico nel corso delle prime tre settimane dal concepimento determina un effetto “tutto o nulla” (ovvero: aborto o nessun effetto).

Sono esposte al rischio le pazienti che per mansioni lavorative abbiano contatto con apparecchiature radiologiche a con materiale radioattivo ma anche le pazienti che in corso di gravidanza vengano sottoposte ad accertamenti radiologici.

Per le prime la Legge prevede l’allontanamento dalle mansioni a rischio durante la gravidanza.

Per tutelare le seconde dovrebbe essere sempre esclusa con certezza la gravidanza prima dell’esecuzione di esami radiologici e in caso di accertamenti indispensabili e non rimandabili dovrebbe essere ridotta la dose di radiazioni e attuata una protezione del bacino materno mediante schermature con piombo.

 

 

Alterazioni da causa sconosciuta

Per circa 60% delle alterazioni congenite non è conosciuta la causa determinante.

Per queste situazioni vengono quindi a mancare i presupposti per una indagine mirata.

Ciononostante è possibile avvalersi di strumenti idonei sia per il calcolo del rischio che per la Diagnosi Prenatale vera e propria.

Ad esempio per i difetti di chiusura del tubo neurale (il più frequente è la spina bifida) sono possibili interventi preventivi (assunzione di acido folico nei mesi precedenti la gravidanza) e diagnosi prenatale con l’esame ecografico e il dosaggio della a-fetoproteina o alfa-fetoproteina

 

INFEZIONI

Il problema infettivo in gravidanza spesso vi preoccupa, è certo molto vario e complesso, potendo presentarsi una banale infezione come la cistite o invece una infezione più grave come la rosolia, e tutto questo ovviamente vi arreca molta ansia.

Vediamo prima con voi i problemi più semplici.

Quando nelle urine c’è la presenza di numerosi batteri si parla di batteriuria.

La presenza dei batteri può associarsi ai sintomi tipici della cistite (bisogno urgente di urinare, febbre, dolore al basso ventre, ecc.) oppure essere asintomatica, cioè non associarsi ad alcun tipo di malessere.
La batteriuria asintomatica è una condizione normalmente non preoccupante, ma durante la gravidanza può causare problemi. Per questo motivo viene comunemente prescritta, nel primo trimestre di gravidanza, anche alle donne che non hanno sintomi, una urinocoltura (un esame delle urine per ricercare e identificare la presenza di ceppi batterici) e, in caso positivo, la cura antibiotica più efficace.

La gravidanza rappresenta una condizione aggravante perché l’utero, aumentando di volume, comprime la vescica e le vie urinarie determinando il rallentamento del flusso dell’urina. Ciò facilita la risalita verso i reni di eventuali batteri presenti in vescica (pielonefrite).

Le infezioni delle vie urinarie trascurate sono correlate ad un rischio aumentato di parto pretermine e di basso peso fetale alla nascita.

Il corretto inquadramento della problematica e un’adeguata terapia antibiotica riescono a ridurre notevolmente queste possibili conseguenze.

 

Ho posto l’accento sulle infezioni delle vie urinarie, ma va considerato che le modificazioni immunologiche della gravidanza associate alla paura delle future madri di assumere farmaci per il timore di possibile interferenza con il benessere fetale possono andare a modificare il decorso di tutti i processi infettivi: cutanei, oculari, odontoiatrici, vaginali ecc.

Occorrerà sempre porre diagnosi corrette e terapie adeguate per risolvere la maggior parte di questi problemi.

 

Veniamo ora alle più temute malattie infettive che potrebbero interferire direttamente con il benessere fetale qualora avesse contratto l’infezione.

 

Cose importanti da tener presenti:

  • In genere il rischio per il feto si realizza quando la madre contrae per la prima volta in vita sua la malattia infettiva
  • Nella maggior parte dei casi i rischi maggiori si hanno nei primi tre mesi di gravidanza e, per alcune malattie, a termine
  • Norme generiche di attenzione a non esporsi alle possibili fonti di contagio possono indurre una notevole riduzione del rischio (dovranno essere particolarmente attente le pazienti gravide che lavorano in ambito sanitario o in ambito scolastico con bambini di prima infanzia, pazienti che hanno bambini piccoli e tutte quelle che abitualmente sono quotidianamente in contatto con molte persone o utilizzano mezzi pubblici di trasporto). Maggior attenzione vuol dire lavare sempre accuratamente le mani, tentare di non esporsi a starnuti e colpi di tosse, non baciare sulla bocca o sul viso bambini, soprattutto se presentano sintomi infettivi.

 

Rosolia

La maggior parte di voi risulta immune, quindi senza problemi, per aver contratto la malattia da bambine o per avere effettuato la vaccinazione a scuola.

Nel caso invece l’infezione avvenga per la prima volta nei primi mesi di gravidanza, ne possono derivare conseguenze molto serie per il feto: aborto, morte fetale o la sindrome da rosolia congenita (difetti alla vista o cecità completa, sordità, malformazioni cardiache, ritardo mentale).
Il test di screening per la rosolia è incluso tra i primi esami ematici cui viene sottoposta una paziente in gravidanza.

Lo screening certamente non dà protezione, ma consente alle pazienti che abbiano già gli anticorpi contro il virus di vivere più serenamente la gravidanza e di far aumentare il grado di attenzione alle poche che siano risultate non immuni. Per queste ultime il test verrà ripetuto nel corso della gravidanza, anche se passato il IV mese i potenziali rischi per il feto si riducono enormemente.
Per queste pazienti risulterà molto utile sottoporsi, finita la gravidanza, alla vaccinazione contro il virus della rosolia, prima di intraprendere una nuova gravidanza.

Non esistono invece procedure terapeutiche per il feto che possano essere attivate in gravidanza.

 

Toxoplasmosi

Anche per questa malattia il rischio per il feto si presenta solo se la mamma non ha mai contratto l’infezione in precedenza.

Se la malattia è contratta durante la gravidanza, il toxoplasma, che è un protozoo, può essere trasmesso al bambino in utero, procurandogli delle lesioni a volte anche gravi.

Esiste un potenziale rischio per il neonato anche in caso di malattia contratta in vicinanza al parto. Il toxo-test è l’esame del sangue che consente di verificare l’immunità nei confronti della malattia.

Se il test è negativo la malattia non è mai stata contratta. In questo caso, anche si ha a che fare con una paziente che per abitudini di vita non si è mai esposta alle fonti di contagio, occorrerà aumentare l’attenzione non ingerendo carni di mammiferi crude o poco cotte, verdure crude (a meno che non siano state accuratamente lavate) ed evitando contatti diretti con gatti e soprattutto con i loro escrementi e lavare sempre accuratamente le mani prima di portarle alla bocca o agli occhi.

Il test verrà ripetuto nel corso della gravidanza.

Qualora, nonostante tutto, malauguratamente una paziente contragga per la prima volta la toxoplasmosi in gravidanza , esistono la possibilità di accertamenti sul feto per verificarne l’eventuale infezione e terapie efficaci tanto per la madre quanto per il feto in grado di ridurre al minimo le conseguenze.

Accertamenti e terapie rappresentano però un percorso molto stressante e veramente non vale la pena abbassare la guardia quando si sia risultate non immuni.

Una nota importante: il pesce crudo non è fonte di toxoplasmosi ma può essere causa di gravi parassitosi intestinali, meglio accertarsi che sia stato trattato e conservato in modo opportuno (abbattimento). Il pesce di grosse dimensioni (tonno, spada) può essere fortemente contaminato da piombo e mercurio, meglio evitarlo. Il pesce in scatola e mal conservato può essere ricco di istamina (sindrome sgombroide) , nessun pericolo per il feto ma un brutto periodo di malessere per la madre.

Quindi prestate  grande attenzione a ciò che mangiate, soprattutto quando mangiate fuori casa.

 

Citomegalovirus (CMV)

Una grande famiglia di virus che normalmente nell’adulto provocano una malattia non grave.

Nella grande maggioranza dei casi l’infezione è asintomatica, cioè chi la contrae non ha sintomi; in rari casi l’infezione si manifesta con sintomi pseudo influenzali a carico delle prime vie aeree.

Anche le persone che abbiano già contratto la malattia possono essere reinfettate da un virus diverso da quello dell’infezione pregressa, anche se generalmente in modo meno virulento, perché a seguito di una prima infezione l’organismo avrà generato anche anticorpi in grado di bloccare altri virus della famiglia.

L’infezione da CMV può diventare pericolosa se contratta durante la gravidanza, perché il virus può superare la placenta e contagiare il feto.

In Italia la maggior parte delle donne risulta aver contratto un’infezione da CMV prima della gravidanza.  Una seconda infezione è in genere difficile da intercettare e comunque espone a conseguenze attenuate.
La malattia si contrae venendo a contatto stretto con persone infette, attraverso saliva, sangue, urine, oppure rapporti sessuali. Generalmente le persone più esposte all’infezione sono quelle che lavorano a contatto con i bambini molto piccoli, nelle scuole materne o nei nidi, perché possono venire a contatto con la saliva dei bambini e con le urine durante il cambio dei pannolini.

Esistono test ematici che vengono di norma prescritti con i primi esami di gravidanza in grado di individuare le pazienti senza immunità al CMV.

In questi casi sarà opportuno incrementare il livello di attenzione e ripetere il test ematico nel corso della gravidanza.

La probabilità che il neonato di una donna che abbia contratto per la prima volta in gravidanza l’infezione abbia gravi conseguenze sono molto molto basse (1/1000), ma non escludibili.

Anche in questo il percorso diagnostico e farmacologico rappresentano una fonte di enorme stress. Veramente meglio cercare in tutti i modi di non esporsi alle fonti di infezione!
Varicella, Parvovirus B19 (quinta malattia), Virus Coxakie (mani, bocca, piedi), Herpes simplex, Condilomatosi vulvo vaginale, Zirka virus

Molte di queste malattie infettive che, anche se solo ipoteticamente sospettate perché il primo figlio le ha contratte o sono state diagnosticate all’asilo o al figlio di amici, creeranno grande apprensione.

Va subito ricordato che la probabilità che si generino gravi conseguenze a carico del feto sono molto basse e, per lo più, dovute ad infezioni contratte nel primo trimestre o presso il termine della gravidanza.

Molte ansie potranno essere azzerate effettuando un test ematologico di verifica degli anticorpi anti virus della varicella all’inizio della gravidanza. La maggior parte delle pazienti, anche se non lo ricorda, ha già contratto la malattia e non ne avrà pertanto conseguenze.

Parvovirus e Coxakie danno raramente problemi seri, ma occorre attivare tutte le precauzioni se si hanno bimbi in prima età scolare. In caso di sospetto di malattia esistono esami ematologici di verifica e controlli seriati ecografici, utili per la rassicurazione. Non ci sono comunque terapie.

L’infezione da Herpes simplex merita attenzione se localizzata e attiva a livello genitale a termine gravidanza. Potrebbe nascerne l’indicazione per la conclusione della gravidanza tramite taglio cesareo (non necessariamente obbligatorio e solo dopo attenta valutazione). Stesse considerazioni per le infezioni genitali da HPV con condilomatosi genitali.

Poco ancora sappiamo sulle conseguenze da virus Zika trasmesso da alcune zanzare. Evitate i luoghi infestati da zanzare e fate uso di repellenti.

 

Tutte le malattie infettive generate da batteri (ad esempio la scarlattina) sono generalmente brillantemente risolvibili con terapie antibiotiche e non generano problemi.

Il problema infettivo in gravidanza spesso vi preoccupa, è certo molto vario e complesso, potendo presentarsi una banale infezione come la cistite o invece una infezione più grave come la rosolia, e tutto questo ovviamente vi arreca molta ansia.

Vediamo prima con voi i problemi più semplici.

Quando nelle urine c’è la presenza di numerosi batteri si parla di batteriuria.

La presenza dei batteri può associarsi ai sintomi tipici della cistite (bisogno urgente di urinare, febbre, dolore al basso ventre, ecc.) oppure essere asintomatica, cioè non associarsi ad alcun tipo di malessere.
La batteriuria asintomatica è una condizione normalmente non preoccupante, ma durante la gravidanza può causare problemi. Per questo motivo viene comunemente prescritta, nel primo trimestre di gravidanza, anche alle donne che non hanno sintomi, una urinocoltura (un esame delle urine per ricercare e identificare la presenza di ceppi batterici) e, in caso positivo, la cura antibiotica più efficace.

La gravidanza rappresenta una condizione aggravante perché l’utero, aumentando di volume, comprime la vescica e le vie urinarie determinando il rallentamento del flusso dell’urina. Ciò facilita la risalita verso i reni di eventuali batteri presenti in vescica (pielonefrite).

Le infezioni delle vie urinarie trascurate sono correlate ad un rischio aumentato di parto pretermine e di basso peso fetale alla nascita.

Il corretto inquadramento della problematica e un’adeguata terapia antibiotica riescono a ridurre notevolmente queste possibili conseguenze.

 

Ho posto l’accento sulle infezioni delle vie urinarie, ma va considerato che le modificazioni immunologiche della gravidanza associate alla paura delle future madri di assumere farmaci per il timore di possibile interferenza con il benessere fetale possono andare a modificare il decorso di tutti i processi infettivi: cutanei, oculari, odontoiatrici, vaginali ecc.

Occorrerà sempre porre diagnosi corrette e terapie adeguate per risolvere la maggior parte di questi problemi.

 

Veniamo ora alle più temute malattie infettive che potrebbero interferire direttamente con il benessere fetale qualora avesse contratto l’infezione.

 

Cose importanti da tener presenti:

  • In genere il rischio per il feto si realizza quando la madre contrae per la prima volta in vita sua la malattia infettiva
  • Nella maggior parte dei casi i rischi maggiori si hanno nei primi tre mesi di gravidanza e, per alcune malattie, a termine
  • Norme generiche di attenzione a non esporsi alle possibili fonti di contagio possono indurre una notevole riduzione del rischio (dovranno essere particolarmente attente le pazienti gravide che lavorano in ambito sanitario o in ambito scolastico con bambini di prima infanzia, pazienti che hanno bambini piccoli e tutte quelle che abitualmente sono quotidianamente in contatto con molte persone o utilizzano mezzi pubblici di trasporto). Maggior attenzione vuol dire lavare sempre accuratamente le mani, tentare di non esporsi a starnuti e colpi di tosse, non baciare sulla bocca o sul viso bambini, soprattutto se presentano sintomi infettivi.

 

Rosolia

La maggior parte di voi risulta immune, quindi senza problemi, per aver contratto la malattia da bambine o per avere effettuato la vaccinazione a scuola.

Nel caso invece l’infezione avvenga per la prima volta nei primi mesi di gravidanza, ne possono derivare conseguenze molto serie per il feto: aborto, morte fetale o la sindrome da rosolia congenita (difetti alla vista o cecità completa, sordità, malformazioni cardiache, ritardo mentale).
Il test di screening per la rosolia è incluso tra i primi esami ematici cui viene sottoposta una paziente in gravidanza.

Lo screening certamente non dà protezione, ma consente alle pazienti che abbiano già gli anticorpi contro il virus di vivere più serenamente la gravidanza e di far aumentare il grado di attenzione alle poche che siano risultate non immuni. Per queste ultime il test verrà ripetuto nel corso della gravidanza, anche se passato il IV mese i potenziali rischi per il feto si riducono enormemente.
Per queste pazienti risulterà molto utile sottoporsi, finita la gravidanza, alla vaccinazione contro il virus della rosolia, prima di intraprendere una nuova gravidanza.

Non esistono invece procedure terapeutiche per il feto che possano essere attivate in gravidanza.

 

Toxoplasmosi

Anche per questa malattia il rischio per il feto si presenta solo se la mamma non ha mai contratto l’infezione in precedenza.

Se la malattia è contratta durante la gravidanza, il toxoplasma, che è un protozoo, può essere trasmesso al bambino in utero, procurandogli delle lesioni a volte anche gravi.

Esiste un potenziale rischio per il neonato anche in caso di malattia contratta in vicinanza al parto. Il toxo-test è l’esame del sangue che consente di verificare l’immunità nei confronti della malattia.

Se il test è negativo la malattia non è mai stata contratta. In questo caso, anche si ha a che fare con una paziente che per abitudini di vita non si è mai esposta alle fonti di contagio, occorrerà aumentare l’attenzione non ingerendo carni di mammiferi crude o poco cotte, verdure crude (a meno che non siano state accuratamente lavate) ed evitando contatti diretti con gatti e soprattutto con i loro escrementi e lavare sempre accuratamente le mani prima di portarle alla bocca o agli occhi.

Il test verrà ripetuto nel corso della gravidanza.

Qualora, nonostante tutto, malauguratamente una paziente contragga per la prima volta la toxoplasmosi in gravidanza , esistono la possibilità di accertamenti sul feto per verificarne l’eventuale infezione e terapie efficaci tanto per la madre quanto per il feto in grado di ridurre al minimo le conseguenze.

Accertamenti e terapie rappresentano però un percorso molto stressante e veramente non vale la pena abbassare la guardia quando si sia risultate non immuni.

Una nota importante: il pesce crudo non è fonte di toxoplasmosi ma può essere causa di gravi parassitosi intestinali, meglio accertarsi che sia stato trattato e conservato in modo opportuno (abbattimento). Il pesce di grosse dimensioni (tonno, spada) può essere fortemente contaminato da piombo e mercurio, meglio evitarlo. Il pesce in scatola e mal conservato può essere ricco di istamina (sindrome sgombroide) , nessun pericolo per il feto ma un brutto periodo di malessere per la madre.

Quindi prestate  grande attenzione a ciò che mangiate, soprattutto quando mangiate fuori casa.

 

Citomegalovirus (CMV)

Una grande famiglia di virus che normalmente nell’adulto provocano una malattia non grave.

Nella grande maggioranza dei casi l’infezione è asintomatica, cioè chi la contrae non ha sintomi; in rari casi l’infezione si manifesta con sintomi pseudo influenzali a carico delle prime vie aeree.

Anche le persone che abbiano già contratto la malattia possono essere reinfettate da un virus diverso da quello dell’infezione pregressa, anche se generalmente in modo meno virulento, perché a seguito di una prima infezione l’organismo avrà generato anche anticorpi in grado di bloccare altri virus della famiglia.

L’infezione da CMV può diventare pericolosa se contratta durante la gravidanza, perché il virus può superare la placenta e contagiare il feto.

In Italia la maggior parte delle donne risulta aver contratto un’infezione da CMV prima della gravidanza.  Una seconda infezione è in genere difficile da intercettare e comunque espone a conseguenze attenuate.
La malattia si contrae venendo a contatto stretto con persone infette, attraverso saliva, sangue, urine, oppure rapporti sessuali. Generalmente le persone più esposte all’infezione sono quelle che lavorano a contatto con i bambini molto piccoli, nelle scuole materne o nei nidi, perché possono venire a contatto con la saliva dei bambini e con le urine durante il cambio dei pannolini.

Esistono test ematici che vengono di norma prescritti con i primi esami di gravidanza in grado di individuare le pazienti senza immunità al CMV.

In questi casi sarà opportuno incrementare il livello di attenzione e ripetere il test ematico nel corso della gravidanza.

La probabilità che il neonato di una donna che abbia contratto per la prima volta in gravidanza l’infezione abbia gravi conseguenze sono molto molto basse (1/1000), ma non escludibili.

Anche in questo il percorso diagnostico e farmacologico rappresentano una fonte di enorme stress. Veramente meglio cercare in tutti i modi di non esporsi alle fonti di infezione!
Varicella, Parvovirus B19 (quinta malattia), Virus Coxakie (mani, bocca, piedi), Herpes simplex, Condilomatosi vulvo vaginale, Zirka virus

Molte di queste malattie infettive che, anche se solo ipoteticamente sospettate perché il primo figlio le ha contratte o sono state diagnosticate all’asilo o al figlio di amici, creeranno grande apprensione.

Va subito ricordato che la probabilità che si generino gravi conseguenze a carico del feto sono molto basse e, per lo più, dovute ad infezioni contratte nel primo trimestre o presso il termine della gravidanza.

Molte ansie potranno essere azzerate effettuando un test ematologico di verifica degli anticorpi anti virus della varicella all’inizio della gravidanza. La maggior parte delle pazienti, anche se non lo ricorda, ha già contratto la malattia e non ne avrà pertanto conseguenze.

Parvovirus e Coxakie danno raramente problemi seri, ma occorre attivare tutte le precauzioni se si hanno bimbi in prima età scolare. In caso di sospetto di malattia esistono esami ematologici di verifica e controlli seriati ecografici, utili per la rassicurazione. Non ci sono comunque terapie.

L’infezione da Herpes simplex merita attenzione se localizzata e attiva a livello genitale a termine gravidanza. Potrebbe nascerne l’indicazione per la conclusione della gravidanza tramite taglio cesareo (non necessariamente obbligatorio e solo dopo attenta valutazione). Stesse considerazioni per le infezioni genitali da HPV con condilomatosi genitali.

Poco ancora sappiamo sulle conseguenze da virus Zika trasmesso da alcune zanzare. Evitate i luoghi infestati da zanzare e fate uso di repellenti.

 

Tutte le malattie infettive generate da batteri (ad esempio la scarlattina) sono generalmente brillantemente risolvibili con terapie antibiotiche e non generano problemi.

PRELIEVO DI VILLI CORIALI VS AMNIOCENTESI

Prelievo di villi coriali e amniocentesi sono le due metodiche di diagnosi prenatale invasiva più diffuse rispetto a quella utilizzata molto più raramente del prelievo di sangue fetale.

L’obiettivo di queste metodiche diagnostiche è quello di poter prelevare campioni biologici fetali (cellule e liquidi) attraverso l’analisi dei quali poter riconoscere o escludere la presenza di patologie.

L’amniocentesi rappresenta l’esame con una storia più antica. Fin dal XIX secolo si è tentato di prelevare il liquido amniotico nel quale il feto è immerso, anche se con finalità differenti da quelle diagnostiche attuali.

L’esame, effettuabile intorno al IV mese di gravidanza (15-18 settimane), consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di liquido amniotico tramite un ago sottile introdotto per via transaddominale sotto guida ecografica.

Si tratta di un esame quasi indolore, paragonabile ad una iniezione intramuscolare, e generalmente,  di breve durata.

Il liquido prelevato, 12- 15 ml, contiene sostanze e cellule di origine fetale.

I motivi per i quali una paziente si sottopone generalmente ad amniocentesi sono: lo studio dei cromosomi fetali, per l’esclusione di anomalie cromosomiche, il dosaggio dell’alfafetoproteina per l’esclusione delle anomalie di chiusura del tubo neurale e la ricerca di agenti infettivi in pazienti in cui si sia sospettato un primo contagio in gravidanza.

Potenzialmente le cellule fetali potrebbero anche essere utilizzate per lo studio di anomalie geniche in coppie a rischio ma, a questo proposito, all’amniocentesi viene preferito il più precoce prelievo di villi coriali.

Agli inizi degli anni ’80 del ‘900, a Milano è stata studiata e messa a punto la possibilità di anticipare di circa un mese l’esecuzione del test mediante il prelievo di villi coriali.

L’esame viene eseguito a 11-13 settimane di gestazione con tecnica analoga a quella descritta per l’amniocentesi, sempre sotto guida ecografica. L’ago però non entra nel comparto fetale ma viene indirizzato alla placenta dove viene fatto scorrere alcune volte mentre si aspira. A volte un po’ più fastidioso rispetto all’amniocentesi il prelievo di villi dura pochi secondi.

La finalità dell’esame è di poter fornire la valutazione del cariotipo fetale per l’esclusione di anomalie cromosomiche e l’analisi del DNA per lo studio di malattie geniche (ereditarie) in feti di genitori con rischio di trasmissione delle stesse.

 

AMNIOCENTESI PRELIEVO di VILLI CORIALI
tra la 16° e la 18° settimana tra la 11° e ka 13° settimana
Anomalie cromosomiche Anomalie cromosomiche
Difetti di chiusura del tubo neurale Anomalie geniche
Malattie infettive
Anomalie geniche

 

In conclusione:

  • le modalità esecutive dei due esami, i tempi di attesa del risultato e le possibili conseguenze correlate all’esecuzione del test sono pressoché sovrapponibili: l’esecuzione di una delle procedure invasive di diagnosi prenatale determina un incremento dello 0,5- 1 % nella possibilità di perdita della gravidanza tra l’epoca del prelievo e la fine della gravidanza (questo rischio va a sommarsi a quello naturale del 2% che si ha nello stesso periodo di osservazione).
  • I difetti di chiusura del tubo neurale possono essere generalmente riconosciuti tramite l’esame ecografico, a volte già al terzo mese di gravidanza.
  • La trasmissione di malattie infettive dalla madre al feto viene ricercata solo dopo che si sia comprovata l’infezione materna.
  • Il prelievo di villi coriali senz’altro più indicato per la diagnosi di anomalie geniche quando i due futuri genitori siano risultati portatori dell’alterazione genetica. Occorre inoltre sottolineare che per queste coppie a rischio la probabilità di avere un feto affetto è altissima (25%- 50%). Un feto su due o su quattro risulterà malato di una malattia grave senza che ci siano possibilità di cura. L’unica risorsa risolutiva per queste pazienti sarà quella di interrompere volontariamente la gravidanza ed è evidente il vantaggio emozionale, fisico e procedurale di una interruzione di gravidanza effettuata prima del IV mese.

 

Analogamente la precocità della diagnostica rappresenta un enorme vantaggio in caso di riconoscimento di anomalie cromosomiche fetali.

A questo riguardo va però sottolineato come il rischio che il feto possa risultare affetto da un’anomalia cromosomica (almeno le più frequenti) sia molto ben valutabile attraverso l’esecuzione di uno screening già al terzo mese di gravidanza (test ecografico della translucenza nucale + bi-test).

In base al valore di rischio ottenuto per la sindrome di Down (trisomia 21), per la sindrome di Edwards (trisomia 18) e per quella di Patau (trisomia 13), che insieme rappresentano circa il 70% delle anomalie cromosomiche rilevabili alla nascita, la paziente potrà optare per quale strada proseguire nel percorso valutativo del proprio feto.

Molto recentemente sono state introdotte nuove metodiche di screening mediante l’analisi del DNA libero fetale dosato nel sangue materno. La metodica è senza dubbio molto promettente ed è efficace per le medesime problematiche indagate con i test di screening ecografici.

Molti laboratori propongono screening più estesi ma al momento, visto che l’esame si basa su formule statistiche che perdono efficienza in caso di situazioni molto rare, è opportuno mantenersi alle indicazioni convalidate per contenere i risultati falsamente positivi o falsamente rassicuranti.

Prelievo di villi coriali e amniocentesi sono le due metodiche di diagnosi prenatale invasiva più diffuse rispetto a quella utilizzata molto più raramente del prelievo di sangue fetale.

L’obiettivo di queste metodiche diagnostiche è quello di poter prelevare campioni biologici fetali (cellule e liquidi) attraverso l’analisi dei quali poter riconoscere o escludere la presenza di patologie.

L’amniocentesi rappresenta l’esame con una storia più antica. Fin dal XIX secolo si è tentato di prelevare il liquido amniotico nel quale il feto è immerso, anche se con finalità differenti da quelle diagnostiche attuali.

L’esame, effettuabile intorno al IV mese di gravidanza (15-18 settimane), consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di liquido amniotico tramite un ago sottile introdotto per via transaddominale sotto guida ecografica.

Si tratta di un esame quasi indolore, paragonabile ad una iniezione intramuscolare, e generalmente,  di breve durata.

Il liquido prelevato, 12- 15 ml, contiene sostanze e cellule di origine fetale.

I motivi per i quali una paziente si sottopone generalmente ad amniocentesi sono: lo studio dei cromosomi fetali, per l’esclusione di anomalie cromosomiche, il dosaggio dell’alfafetoproteina per l’esclusione delle anomalie di chiusura del tubo neurale e la ricerca di agenti infettivi in pazienti in cui si sia sospettato un primo contagio in gravidanza.

Potenzialmente le cellule fetali potrebbero anche essere utilizzate per lo studio di anomalie geniche in coppie a rischio ma, a questo proposito, all’amniocentesi viene preferito il più precoce prelievo di villi coriali.

Agli inizi degli anni ’80 del ‘900, a Milano è stata studiata e messa a punto la possibilità di anticipare di circa un mese l’esecuzione del test mediante il prelievo di villi coriali.

L’esame viene eseguito a 11-13 settimane di gestazione con tecnica analoga a quella descritta per l’amniocentesi, sempre sotto guida ecografica. L’ago però non entra nel comparto fetale ma viene indirizzato alla placenta dove viene fatto scorrere alcune volte mentre si aspira. A volte un po’ più fastidioso rispetto all’amniocentesi il prelievo di villi dura pochi secondi.

La finalità dell’esame è di poter fornire la valutazione del cariotipo fetale per l’esclusione di anomalie cromosomiche e l’analisi del DNA per lo studio di malattie geniche (ereditarie) in feti di genitori con rischio di trasmissione delle stesse.

 

AMNIOCENTESI PRELIEVO di VILLI CORIALI
tra la 16° e la 18° settimana tra la 11° e ka 13° settimana
Anomalie cromosomiche Anomalie cromosomiche
Difetti di chiusura del tubo neurale Anomalie geniche
Malattie infettive
Anomalie geniche

 

In conclusione:

  • le modalità esecutive dei due esami, i tempi di attesa del risultato e le possibili conseguenze correlate all’esecuzione del test sono pressoché sovrapponibili: l’esecuzione di una delle procedure invasive di diagnosi prenatale determina un incremento dello 0,5- 1 % nella possibilità di perdita della gravidanza tra l’epoca del prelievo e la fine della gravidanza (questo rischio va a sommarsi a quello naturale del 2% che si ha nello stesso periodo di osservazione).
  • I difetti di chiusura del tubo neurale possono essere generalmente riconosciuti tramite l’esame ecografico, a volte già al terzo mese di gravidanza.
  • La trasmissione di malattie infettive dalla madre al feto viene ricercata solo dopo che si sia comprovata l’infezione materna.
  • Il prelievo di villi coriali senz’altro più indicato per la diagnosi di anomalie geniche quando i due futuri genitori siano risultati portatori dell’alterazione genetica. Occorre inoltre sottolineare che per queste coppie a rischio la probabilità di avere un feto affetto è altissima (25%- 50%). Un feto su due o su quattro risulterà malato di una malattia grave senza che ci siano possibilità di cura. L’unica risorsa risolutiva per queste pazienti sarà quella di interrompere volontariamente la gravidanza ed è evidente il vantaggio emozionale, fisico e procedurale di una interruzione di gravidanza effettuata prima del IV mese.

 

Analogamente la precocità della diagnostica rappresenta un enorme vantaggio in caso di riconoscimento di anomalie cromosomiche fetali.

A questo riguardo va però sottolineato come il rischio che il feto possa risultare affetto da un’anomalia cromosomica (almeno le più frequenti) sia molto ben valutabile attraverso l’esecuzione di uno screening già al terzo mese di gravidanza (test ecografico della translucenza nucale + bi-test).

In base al valore di rischio ottenuto per la sindrome di Down (trisomia 21), per la sindrome di Edwards (trisomia 18) e per quella di Patau (trisomia 13), che insieme rappresentano circa il 70% delle anomalie cromosomiche rilevabili alla nascita, la paziente potrà optare per quale strada proseguire nel percorso valutativo del proprio feto.

Molto recentemente sono state introdotte nuove metodiche di screening mediante l’analisi del DNA libero fetale dosato nel sangue materno. La metodica è senza dubbio molto promettente ed è efficace per le medesime problematiche indagate con i test di screening ecografici.

Molti laboratori propongono screening più estesi ma al momento, visto che l’esame si basa su formule statistiche che perdono efficienza in caso di situazioni molto rare, è opportuno mantenersi alle indicazioni convalidate per contenere i risultati falsamente positivi o falsamente rassicuranti.

TEST PRENATALI NON INVASIVI

Da molti anni si cerca di ovviare alle problematiche correlate all’esecuzione dei Test Invasivi di Diagnosi Prenatale (Prelievo di Villi Coriali e Amniocentesi) con l’introduzione di metodiche di indagine non invasive che possano essere effettuate con modalità automatizzata.

Dopo un lungo periodo di ricerche infruttuose mirate allo studio delle cellule fetali nel sangue materno, l’attenzione dei ricercatori si è spostata verso l’analisi di frammenti di DNA fetale libero circolante nel sangue materno.

Il DNA è la molecola alla base di tutte le informazioni genetiche che determinano le caratteristiche e le funzioni, e quindi anche le anomalie, di un organismo biologico e sono la parte costitutiva dei cromosomi.

L’analisi del DNA consente lo studio dei geni e dei cromosomi e, conseguentemente, delle malattie correlate alle loro alterazioni.

Nel 2003 è stato concluso l’ambizioso progetto GENOMA che ha portato alla mappatura di una gran quantità di geni umani (circa 25000 sui 100000 ipotizzati).

Questi studi hanno aperto un vastissimo orizzonte nell’ambito delle potenzialità della biologia molecolare sia sul versante diagnostico che su quello terapeutico.

Il cammino da percorrere è ancora lungo e problematico ma gli avanzamenti nel campo sono velocissimi.

I villi coriali, componenti costitutivi della placenta, liberano nel circolo ematico materno piccoli frammenti di DNA delle loro cellule che hanno origine comune con il feto.

Un prelievo di sangue della madre effettuato dopo la 10° settimana di gestazione consente di estrarre e di analizzare il DNA libero fetale in esso circolante.

I processi di estrazione, amplificazione e analisi del campione sono automatizzati tramite apparecchiature molto sofisticate in grado di fornire risultati altamente attendibili grazie a complesse elaborazioni statistiche.

Va rilevato però che il dato ottenuto, anche se molto accurato, rappresenta una previsione e di conseguenza un risultato patologico ottenuto con questa metodica richiede sempre la conferma con un test invasivo (prelievo di villi coriali, amniocentesi).

Proprio per la sua natura di analisi statistica il risultato è inoltre tanto più veritiero quanto più frequente è la patologia indagata.

Ad oggi, nonostante l’ampia gamma di offerta diagnostica offerta dal mercato, l’analisi dei frammenti di DNA fetale circolante nel sangue materno è validata per la trisomia 21 (sindrome di Down 1/700 nati), la trisomia 18 (sindrome di Edwards 1/5000 nati), la trisomia 13 (sindrome di Patau 1/10000 nati).

Con attendibilità un po’ più bassa possono essere indagati anche i cosiddetti cromosomi sessuali X e Y per l’identificazione del sesso del feto.

Anche i cromosomi sessuali possono inoltre presentare anomalie nel loro numero (femmine con un solo X o con tre X- maschi con due XX e un Y o un X e due YY, le più frequenti).

Queste alterazioni cromosomiche possono essere rilevate dall’esame ma dal momento che, in genere, non comportano gravi conseguenze ma manifestazioni molto sfumate inquadrabili nell’abito della variabilità biologica, la loro identificazione è frequentemente causa di percorsi decisionali sofferti da parte dei genitori

Merita un ultimo cenno la possibilità di indagine di alcune microdelezioni.

Si tratta di situazioni in cui un cromosoma ha perso una porzione talmente piccola della sua struttura. Le tecniche usuali di citogenetica non sono in grado di rilevare queste anomalie se non facendo ricorso a metodologie specifiche (FISH, CGH Array) utilizzate solo a fronte di un sospetto.

La perdita della piccola porzione cromosomica comporta anche la perdita dei geni in essa contenuti e ciò si traduce in manifestazioni patologiche a volte molto gravi.

Difficilmente le microdelezioni possono essere sospettate nel corso degli accertamenti con cui la gravidanza viene normalmente monitorata (comprese l’analisi dei villi coriali e l’amniocentesi).

Il sospetto e la diagnosi di microdelezioni vengono normalmente posti solo in età adolescenziale.

Le microdelezioni sono eventi molto rari con frequenze inferiori a 1/10000 per le più comuni e molto inferiori per le altre.

L’analisi dei frammenti di DNA fetale circolante nel siero materno consente la valutazione di probabilità delle microdelezioni più frequenti, ma è proprio a causa della loro bassa frequenza che l’informazione può risultare poco precisa, con la possibilità di risultati falsamente positivi o falsamente negativi.

Da molti anni si cerca di ovviare alle problematiche correlate all’esecuzione dei Test Invasivi di Diagnosi Prenatale (Prelievo di Villi Coriali e Amniocentesi) con l’introduzione di metodiche di indagine non invasive che possano essere effettuate con modalità automatizzata.

Dopo un lungo periodo di ricerche infruttuose mirate allo studio delle cellule fetali nel sangue materno, l’attenzione dei ricercatori si è spostata verso l’analisi di frammenti di DNA fetale libero circolante nel sangue materno.

Il DNA è la molecola alla base di tutte le informazioni genetiche che determinano le caratteristiche e le funzioni, e quindi anche le anomalie, di un organismo biologico e sono la parte costitutiva dei cromosomi.

L’analisi del DNA consente lo studio dei geni e dei cromosomi e, conseguentemente, delle malattie correlate alle loro alterazioni.

Nel 2003 è stato concluso l’ambizioso progetto GENOMA che ha portato alla mappatura di una gran quantità di geni umani (circa 25000 sui 100000 ipotizzati).

Questi studi hanno aperto un vastissimo orizzonte nell’ambito delle potenzialità della biologia molecolare sia sul versante diagnostico che su quello terapeutico.

Il cammino da percorrere è ancora lungo e problematico ma gli avanzamenti nel campo sono velocissimi.

I villi coriali, componenti costitutivi della placenta, liberano nel circolo ematico materno piccoli frammenti di DNA delle loro cellule che hanno origine comune con il feto.

Un prelievo di sangue della madre effettuato dopo la 10° settimana di gestazione consente di estrarre e di analizzare il DNA libero fetale in esso circolante.

I processi di estrazione, amplificazione e analisi del campione sono automatizzati tramite apparecchiature molto sofisticate in grado di fornire risultati altamente attendibili grazie a complesse elaborazioni statistiche.

Va rilevato però che il dato ottenuto, anche se molto accurato, rappresenta una previsione e di conseguenza un risultato patologico ottenuto con questa metodica richiede sempre la conferma con un test invasivo (prelievo di villi coriali, amniocentesi).

Proprio per la sua natura di analisi statistica il risultato è inoltre tanto più veritiero quanto più frequente è la patologia indagata.

Ad oggi, nonostante l’ampia gamma di offerta diagnostica offerta dal mercato, l’analisi dei frammenti di DNA fetale circolante nel sangue materno è validata per la trisomia 21 (sindrome di Down 1/700 nati), la trisomia 18 (sindrome di Edwards 1/5000 nati), la trisomia 13 (sindrome di Patau 1/10000 nati).

Con attendibilità un po’ più bassa possono essere indagati anche i cosiddetti cromosomi sessuali X e Y per l’identificazione del sesso del feto.

Anche i cromosomi sessuali possono inoltre presentare anomalie nel loro numero (femmine con un solo X o con tre X- maschi con due XX e un Y o un X e due YY, le più frequenti).

Queste alterazioni cromosomiche possono essere rilevate dall’esame ma dal momento che, in genere, non comportano gravi conseguenze ma manifestazioni molto sfumate inquadrabili nell’abito della variabilità biologica, la loro identificazione è frequentemente causa di percorsi decisionali sofferti da parte dei genitori

Merita un ultimo cenno la possibilità di indagine di alcune microdelezioni.

Si tratta di situazioni in cui un cromosoma ha perso una porzione talmente piccola della sua struttura. Le tecniche usuali di citogenetica non sono in grado di rilevare queste anomalie se non facendo ricorso a metodologie specifiche (FISH, CGH Array) utilizzate solo a fronte di un sospetto.

La perdita della piccola porzione cromosomica comporta anche la perdita dei geni in essa contenuti e ciò si traduce in manifestazioni patologiche a volte molto gravi.

Difficilmente le microdelezioni possono essere sospettate nel corso degli accertamenti con cui la gravidanza viene normalmente monitorata (comprese l’analisi dei villi coriali e l’amniocentesi).

Il sospetto e la diagnosi di microdelezioni vengono normalmente posti solo in età adolescenziale.

Le microdelezioni sono eventi molto rari con frequenze inferiori a 1/10000 per le più comuni e molto inferiori per le altre.

L’analisi dei frammenti di DNA fetale circolante nel siero materno consente la valutazione di probabilità delle microdelezioni più frequenti, ma è proprio a causa della loro bassa frequenza che l’informazione può risultare poco precisa, con la possibilità di risultati falsamente positivi o falsamente negativi.

Come orientarsi nella prevenzione dei difetti congeniti neonatali

L’offerta di strumenti diagnostici o di valutazione del rischio di malattie congenite è cresciuta a dismisura negli ultimi anni creando spesso disorientamento e anche false aspettative, non solo da parte delle pazienti ma anche di molti colleghi.

Il maggior contributo in questa direzione ci è arrivato dalle tecniche messe a nostra disposizione dalla biologica molecolare che consente lo studio sempre più approfondito del nostro materiale genetico.

Nessuno è attualmente in grado di stabilire a quali livelli si potrà arrivare; certo che l’idea di poter indagare i singoli individui in merito a caratteristiche ancora non note o alla possibilità di poter sviluppare malattie solleva non pochi interrogativi e preoccupazioni.

Da qualche anno si osserva una crescente offerta di test prenatali sempre più estesi e sempre più ricchi di informazioni ma, pur senza tener conto dei costi al momento sostenuti di questi esami, quali rappresentano un reale contributo al percorso di una gravidanza?

In passato si riteneva che un elevato grado di valutazione del benessere fetale dovesse avvalersi dei test invasivi (prelievo di villi coriali e amniocentesi).

Di fatto questi test, in assenza di indicazione specifiche (rischio di malattie ereditarie, malattie infettive) contribuiscono essenzialmente allo studio del quadro cromosomico fetale.

A fronte di una probabilità di malformazioni neonatali di 2-3 casi su cento nati, le alterazioni cromosomiche con conseguenze significative rappresentano 1 caso su 270 nati, ovvero quasi 0,4 su cento.

Si tratta di malattie spesso gravi e fonte di preoccupazione per le pazienti in gravidanza. Prima fra tutte, perché più frequente e di conseguenza nota, la sindrome di Down (determinata dalla presenza nelle cellule di tre anziché due cromosomi 21).

È evidente però come il solo studio dei cromosomi fetali non sia in grado di assolvere il compito di una valutazione estesa del benessere fetale.

Una corretta preparazione alla gravidanza che comprenda la stima del rischio di malattie ereditarie o di malattie infettive, l’adeguamento dello stile di vita in prospettiva di un evento riproduttivo (compresa l’assunzione di acido Folico nei tre mesi precedenti) rappresentano un indispensabile contributo per un buon risultato.

Gli accertamenti eseguiti nel corso della gravidanza, e tra questi di primaria importanza l’indagine ecografica, contribuiranno poi a restringere al massimo la quota di incertezza e di rischio.

Tutto ciò darà però ottimi risultati solo grazie ad una attenta regia e a una tempistica oculata.

Non servono mille esami ecografici ma solo pochi ben orientati ed effettuati in epoca corretta in modo da poter introdurre eventuali approfondimenti.

Non servono mille visite e mille esami, ma solo quelli opportuni effettuati al momento giusto.

In linea di massima, una volta effettuate le valutazioni di rischio sulla base dei dati familiari e personali, potrebbero essere sufficienti:

  • Gli esami ematochimici effettuati alle precise scadenze,
  • Il test combinato che prevede la valutazione integrata di età materna, dati biochimici fetali-Bi test- ed ecografia a 11-13,6 settimane (con questo test vengono valutati i rischi per le più frequenti alterazioni cromosomiche a grave conseguenza, gran parte delle strutture fetali e il rischio che la gravidanza possa andare incontro a complicanze di percorso -gestosi, iposviluppo fetale),
  • Un’attenta ecografia effettuata a 20-22 settimane per lo studio il più approfondito possibile della anatomia fetale. L’epoca di gravidanza deve essere ben calcolata in modo da consentire la possibilità in tempo utile per accertamenti di approfondimento,
  • Controlli al 7° e 8° mese del benessere fetale per la valutazione della crescita, il riesame della morfologia fetale che, seppur raramente, potrebbe evidenziare quadri precedentemente non evidenziabili, e per la valutazione della placenta.

Un importante elemento aggiuntivo è rappresentato dallo studio delle frazioni di DNA fetale libero rilasciato dai villi coriali nel sangue materno.

L’esame è eseguibile generalmente dopo la 10a settimana di gestazione e potrebbe essere correttamente posizionato dopo il risultato del test combinato.

Si tratta di un test statistico, quindi non equiparabile ad un test invasivo, ma molto sensibile.

In commercio sono disponibili diversi pacchetti del test con finalità non sempre così utili. Trattandosi di un test statistico, la sua affidabilità è direttamente proporzionale alla frequenza di ciò che si va a cercare.

Il suggerimento è di utilizzare l’indagine del DNA libero fetale per la valutazione per le trisomie 21, 18 e 13, per quella dell’anomalia dei cromosomi sessuali (X e Y- la mancanza di uno dei due cromosomi X può rappresentare causa di gravi conseguenze per una femmina) e la ricerca delle microdelezioni (perdita di piccolissime porzioni di un cromosoma non riconoscibili ad una indagine microscopica) più frequenti (singolarmente sono molto rare ma contribuiscono per 1 caso su 100 nel quadro dei difetti congeniti e possono determinare quadri complessi).

Occorre ricordare che il test può essere soggetto a risultati falsi positivi o falsi negativi e che a volte non è possibile ottenere un risultato.

È infine possibile fare ricorso a test di biologia molecolare eseguiti in epoca precedente la gravidanza per identificare i portatori di malattie genetiche (malattie ereditarie).

Le malattie ereditarie possono essere sospettate attraverso una accurata ricostruzione della storia familiare ma, dal momento che possono presentarsi anche in assenza di indicatori di rischio, ci si può giovare di indagini specifiche di biologia molecolare.

La malattia ereditaria più frequente nella popolazione europea è la Fibrosi Cistica (una persona su 25 è portatrice di mutazione genica per la malattia che però può manifestarsi solo nel 25% dei figli di genitori entrambi portatori della alterazione).

Un pacchetto di indagine prenatale per entrambi i componenti di una coppia potrebbe contenere l’indagine su:

  • Fibrosi cistica,
  • Atrofia muscolare spinale
  • Sordità congenita non sindromica
  • X-fragile
  • Distrofia muscolare di Duchenne-Becker

Infine, non va dimenticata la possibilità di effettuare test invasivi di diagnosi prenatale.

Generalmente questi esami vengono riservati a pazienti per le quali i test non invasivi di screening (NIPT) abbiano messo in evidenza una condizione di rischio elevato.

In caso di esecuzione di test invasivi è possibile, ma ancora poco disponibile, integrare lo studio dei cromosomi fetali con quello delle più frequenti anomalie (alcune microdelezioni, alcune malattie geniche) con un’indagine di biologia molecolare mirata (CGH Array mirato).