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4 maggio 2020

Come orientarsi nel complicato mondo di proposte per la prevenzione dei difetti congeniti neonatali?

L’offerta di strumenti diagnostici o di valutazione del rischio di malattie congenite è cresciuta a dismisura negli ultimi anni creando spesso disorientamento e anche false aspettative, non solo da parte delle pazienti ma anche di molti colleghi.

Il maggior contributo in questa direzione ci è arrivato dalle tecniche messe a nostra disposizione dalla biologica molecolare che ci consente lo studio sempre più approfondito del nostro materiale genetico.

Nessuno è attualmente in grado di stabilire a quali livelli si potrà arrivare; certo che l’idea di poter indagare i singoli individui in merito a caratteristiche ancora non note o alla possibilità di poter sviluppare malattie solleva non pochi interrogativi e preoccupazioni.

Da qualche anno si osserva una crescente offerta di test prenatali sempre più estesi e sempre più ricchi di informazioni ma, pur senza tener conto dei costi al momento sostenuti di questi esami, quali rappresentano un reale contributo al percorso di una gravidanza?

In passato si riteneva che un elevato grado di valutazione del benessere fetale dovesse avvalersi dei test invasivi (prelievo di villi coriali e amniocentesi).

Di fatto questi test, in assenza di indicazione specifiche (rischio di malattie ereditarie, malattie infettive) contribuiscono essenzialmente allo studio del quadro cromosomico fetale.

A fronte di una probabilità di malformazioni neonatali di 2-3 casi su cento nati, le alterazioni cromosomiche con conseguenze significative rappresentano 1 caso su 270 nati, ovvero quasi 0,4 su cento.

Senza dubbio si tratta di malattie spesso gravi e fonte di preoccupazione per le pazienti in gravidanza. Prima fra tutte, perché più frequente e di conseguenza nota, la sindrome di Down (determinata dalla presenza nelle cellule di tre anziché due cromosomi 21).

È evidente però come il solo studio dei cromosomi fetali non sia in grado di assolvere il compito di una valutazione estesa del benessere fetale.

Una corretta preparazione alla gravidanza che comprenda la stima del rischio di malattie ereditarie o di malattie infettive, l’adeguamento dello stile di vita in prospettiva di un evento riproduttivo (compresa l’assunzione di acido Folico nei tre mesi precedenti) rappresentano un indispensabile contributo per un buon risultato.

Gli accertamenti eseguiti nel corso della gravidanza, e tra questi di primaria importanza l’indagine ecografica, contribuiranno poi a restringere al massimo la quota di incertezza e di rischio.

Tutto ciò darà però ottimi risultati solo grazie ad una attenta regia e a una tempistica oculata.

Non servono mille esami ecografici ma solo pochi ben orientati ed effettuati in epoca corretta in modo da poter introdurre eventuali approfondimenti.

Non servono mille visite e mille esami, ma solo quelli opportuni effettuati al momento giusto.

In linea di massima, una volta effettuate le valutazioni di rischio sulla base dei dati familiari e personali, potrebbero essere sufficienti:

  • Gli esami ematochimici effettuati alle precise scadenze,
  • Il test combinato che prevede la valutazione integrata di età materna, dati biochimici fetali-Bi test- ed ecografia a 11-13,6 settimane (con questo test vengono valutati i rischi per le più frequenti alterazioni cromosomiche a grave conseguenza, gran parte delle strutture fetali e il rischio che la gravidanza possa andare incontro a complicanze di percorso -gestosi, iposviluppo fetale),
  • Un’attenta ecografia effettuata a 20-22 settimane per lo studio il più approfondito possibile della anatomia fetale. L’epoca di gravidanza deve essere ben calcolata in modo da consentire la possibilità in tempo utile per accertamenti di approfondimento,
  • Controlli al 7° e 8° mese del benessere fetale per la valutazione della crescita, il riesame della morfologia fetale che, seppur raramente, potrebbe evidenziare quadri precedentemente non evidenziabili, e per la valutazione della placenta.

Un importante elemento aggiuntivo  è rappresentato dallo studio delle frazioni di DNA fetale libero rilasciato dai villi coriali nel sangue materno.

L’esame è eseguibile generalmente dopo la 10^ settimana di gestazione e potrebbe essere correttamente posizionato dopo il risultato del test combinato.

Si tratta di un test statistico, quindi non equiparabile ad un test invasivo, ma molto sensibile.

In commercio sono disponibili diversi pacchetti del test con finalità non sempre così utili. Trattandosi di un test statistico, la sua affidabilità è direttamente proporzionale alla frequenza di ciò che si va a cercare.

Il suggerimento è di utilizzare l’indagine del DNA libero fetale per la valutazione per le trisomie 21, 18 e 13, per quella dell’anomalia dei cromosomi sessuali (X e Y- la mancanza di uno dei due cromosomi X può rappresentare causa di gravi conseguenze per una femmina) e la ricerca delle microdelezioni (perdita di piccolissime porzioni di un cromosoma non riconoscibili ad una indagine microscopica) più frequenti (singolarmente sono molto rare ma contribuiscono per 1 caso su 100 nel quadro dei difetti congeniti e possono determinare quadri complessi).

In genere il prelievo per il DNA fetale viene suggerito a pazienti che abbiano ottenuto un risultato di rischio intermedio dal test combinato (1/100-1/1000).

Occorre ricordare che il test può essere soggetto a risultati falsi positivi o falsi negativi e che a volte non è possibile ottenere un risultato.

Ad oggi il test sul DNA libero fetale ha dei costi ancora elevati ma, come avviene per tutte queste procedure, presto dobbiamo attenderne un decremento.

Alcuni laboratori infine stanno cominciando ad offrire test di biologia molecolare per la identificazione dei portatori di malattie genetiche.

Questi test sono ancora onerosi dal punto di vista economico e andrebbero indirizzati all’intercettazione delle malattie più gravi e più frequenti.

Si tratta di rischi diluiti e in parte intercettabili con una accurata ricostruzione della storia familiare.

La malattia ereditaria più frequente nella nostra popolazione è la Fibrosi Cistica.

Un individuo sano su 25 è portatore di una alterazione del gene. La probabilità che casualmente i due componenti di una coppia siano entrambi portatori è di 1 su 600 e quella che generino un figlio malato di 1 su 2500.

In Italia nascono ogni anno 200 bambini affetti da Fibrosi Cistica. Per fortuna per molti di essi la malattia no ha un decorso grave.

Un pacchetto di indagine prenatale per entrambi i componenti di una coppia potrebbe contenere l’indagine su:

  • Fibrosi cistica,
  • Beta talassemia
  • Atrofia muscolare spinale
  • Sordità congenita non sindromica
  • Fenilchetonuria

E solo nello studio della madre

  • X-fragile
  • Distrofia muscolare di Duchenne-Becker

Molte di queste malattie sono estremamente rare e l’indagine effettuata non è in grado di individuare tutte le possibili mutazioni dei singoli geni.

Nonostante ciò si potrebbe raggiungere un importante livello di prevenzione dei difetti congeniti.

Al momento non siamo in grado di fornire i costi di questo pacchetto di indagini prenatali, ma siamo in contatto con alcuni laboratori per poter formulare un’offerta.

 

Infine, non va dimenticata la possibilità di effettuare test invasivi di diagnosi prenatale.

Generalmente questi esami vengono riservati a pazienti per le quali i test non invasivi di screening (NIPT) abbiano messo in evidenza una condizione di rischio elevato.

In caso di esecuzione di test invasivi è possibile, ma ancora poco disponibile, integrare lo studio dei cromosomi fetali con quello delle più frequenti anomalie (alcune microdelezioni, alcune malattie geniche) con un’indagine di biologia molecolare mirata (CGH Array mirato).